Il mafioso calabrese e la sua eredità nella ‘Ndrangheta
Giuseppe Morabito, classe 1934, è un boss mafioso italiano associato alla ‘Ndrangheta calabrese.
Per diversi anni è stato un latitante, essendo il capo del clan Morabito. Giuseppe Morabito è anche conosciuto come “u tiradrittu” (nel dialetto calabrese, significa “sparatore diretto” o qualcuno che spara dritto senza rispetto per regole o persone), un soprannome ereditato dal padre. Era considerato il numero uno nella ‘Ndrangheta, che, secondo la commissione parlamentare antimafia, è addirittura più importante dell’ex superlatitante Bernardo Provenzano, capo di Cosa Nostra. Nel 1952 è stato denunciato per occupazione arbitraria di immobili, danneggiamento, porto abusivo di armi, violenza privata e lesioni personali.
Nel 1967 è stato accusato di essere l’istigatore della “strage di Locri”, ma è stato assolto nel 1971.
Durante i disordini a Reggio Calabria, si dice che Morabito sia entrato in contatto con i Servizi Segreti per fornire informazioni sui rapimenti nel Nord Italia. Negli anni ’70, insieme a lui, è stata creata una sorta di alleanza per la gestione del traffico di droga tra i Barbaro di Platì, i Pelle di San Luca e i Pisano-Pesce-Bellocco di Rosarno, sul versante tirrenico.
Negli anni ’80, dopo la “faida di Motticella” tra le cosche Morabito-Mollica e Speranza-Palamara-Scriva, che ha causato oltre 50 morti, Morabito diventa il capo della locale di Africo. Non è stato coinvolto giudiziariamente nella faida. Si dice che abbia svolto il ruolo di mediatore nella “faida di Roghudi”, anche se questa versione è stata smentita in sede giudiziaria.
La prima ordinanza di custodia cautelare risale al 1992, con l’accusa di associazione di tipo mafioso per il traffico di stupefacenti.
Da allora, Morabito continua a essere coinvolto nel traffico internazionale di droga, spesso collaborando con i suoi figli. Anche suo fratello e suo figlio Giovanni sono stati arrestati per lo stesso motivo. Tuttavia, l’altro figlio, Domenico Morabito, è morto all’età di 39 anni nel 1996, ucciso dalla polizia.
La fine della latitanza di Giuseppe Morabito e l’arresto nel 2004
Morabito viene finalmente arrestato il 18 febbraio 2004, dopo 12 anni di latitanza. L’operazione è stata un’azione congiunta del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri e dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria. Viene catturato anche il suo genero, Giuseppe Pansera, un gastroenterologo. Al momento dell’arresto, il boss dichiarò: “Trattatemi bene” e non oppose alcuna resistenza. Aggiunse, rivolgendosi ai carabinieri: “Se non mi prendevate voi, non mi avrebbe preso nessun altro”.
L’eredità di Giuseppe Morabito
Il 26 aprile 2010, a Melito di Porto Salvo, viene arrestato suo figlio Rocco Morabito, di 50 anni, attuale capo del clan. Inoltre, il 5 marzo 2013, a Locri, vengono arrestati per associazione a delinquere e riciclaggio anche il genero Francesco Sculli (funzionario del Comune di Bruzzano Zeffirio e padre del calciatore Giuseppe), insieme a Rocco Morabito e al boss Rocco Aquino (già in carcere).
Le attività criminali di Giuseppe Morabito e la sua influenza all’interno della ‘Ndrangheta hanno lasciato un’impronta duratura sull’organizzazione criminale e sulla regione della Calabria nel suo complesso. Il suo ruolo come figura di spicco nel traffico di droga, unito al suo coinvolgimento in faide e violenze, ha contribuito alla reputazione della ‘Ndrangheta come una delle organizzazioni criminali più potenti e pericolose in Italia.
La continua operatività del clan Morabito
Nonostante il suo arresto e la successiva condanna, il clan Morabito continua a operare, con suo figlio Rocco Morabito che ha assunto il ruolo di nuovo capo. Le autorità hanno compiuto sforzi significativi per smantellare la ‘Ndrangheta e contrastarne l’influenza, ma essa rimane una forza formidabile, profondamente radicata nel tessuto sociale ed economico della regione.
La storia di Giuseppe Morabito è un triste ricordo della presenza persistente della criminalità organizzata in Italia e delle sfide affrontate dalle forze dell’ordine nel combatterla. La lotta contro la ‘Ndrangheta e altre organizzazioni criminali richiede un impegno costante per smantellare le loro reti, colpire le loro operazioni finanziarie e sostenere iniziative volte a promuovere lo sviluppo legale ed economico nelle aree colpite.
Solo attraverso un approccio completo e coordinato che coinvolga le forze dell’ordine, il sistema giudiziario e l’empowerment della comunità, si potrà indebolire la presa della criminalità organizzata e garantire un futuro più sicuro e prospero per la popolazione della Calabria e non solo.