A Catanzaro, il 18 gennaio 1977 inizia il dibattimento per uno dei fatti più angoscianti e tragici legati alla Storia della Repubblica italiana. La strage di Piazza Fontana avvenuta esattamente 50 anni fa, il 12 dicembre 1969, alla Banca dell’Agricoltura di Milano, fu uno degli eventi più sconvolgenti che si verificarono alla fine degli anni 60. Un parallelismo potremmo farlo con la strage di Portella della Ginestra del 1^ maggio 1947, che fu la prima tragedia che scioccò l’Italia per mano della banda criminale di Salvatore Giuliano e che aveva come finalità una strategia della tensione sulla base di un disegno politico mafioso.
Il trasferimento del processo da Roma a Catanzaro
Probabilmente si pensava che portando il processo a Catanzaro, fosse più semplice omettere o offuscare l’esattezza degli avvenimenti. Invece, la Corte di Assise di Catanzaro lavorò con impegno e coraggio, affrontando una realtà complessa legata al mondo politico, ai servizi segreti, cercando di mettere in luce una verità che non era facile da individuare.
A sei anni dalla strage di Milano, si ritrovarono imputati anarchici di destra, elementi dei servizi segreti e politici. Per la prima volta, gli italiani vedono sfilare i propri ministri durante un processo le cui immagini vengono trasmesse in televisione, con un risultato a dir poco imbarazzante.
Il giornalista di destra Guido Giannettini era agente Zeta del Sid, il servizio segreto militare. Nel giugno del ’73, Ventura ammise di aver compiuto alcuni attentati e disse di avere come referente Giannettini. Il giudice Gerardo D’Ambrosio chiese ai vertici del Sid se ci fosse veramente una collaborazione. La risposta, si fa per dire, fu che venne opposto il segreto politico-militare. È il momento simbolico in cui piazza Fontana diventa “strage di Stato”.
Il compito difficile per appurare la verità dei fatti
Ai magistrati di Catanzaro fu dato l’arduo compito di capire chi decise di silenziare la verità con il segreto di Stato.
All’epoca dei fatti di Catanzaro, Mariano Rumor sostituì Giulio Andreotti alla guida al governo.
Durante il processo, Andreotti nega la riunione di governo su Giannettini. Il ministro socialista della Giustizia, Mario Zagari, intervenne sul presidente del Consiglio, Mariano Rumor, affinché convincesse il ministro della Difesa Mario Tanassi, socialdemocratico, a rinunciare all’apposizione del segreto.
Ma sia Rumor che Tanassi negano, celandosi dietro fatti di cui non hanno memoria, partecipano al processo con evidente disagio, celandosi dietro paralizzanti silenzi.
L’italiano medio, durante l’ora di cena e tv accesa, guarda in bianco e nero una sfilata scandalosa di politici “balbuzienti” che esulano domande, restano in silenzio.
Il Presidente del consiglio Giulio Andreotti, chiamato a testimoniare sulle circostanze in cui tre anni prima era stato opposto il segreto politico-militare ai magistrati che indagavano su Giannettini, pronuncia trentatré volte le parole «non ricordo» durante un interrogatorio sotto giuramento dinanzi alla Corte d’assise. (Wikipedia)
La sentenza di Catanzaro a quasi dieci anni dalla strage
Il 23 febbraio 1979 c’è la prima sentenza per Piazza Fontana. Le prove che inchiodano i neofascisti sono diverse, soprattutto il legame tra Freda e Ventura per la progettazione di attentati terroristici volti a terrorizzare l’opinione pubblica.
La sentenza vede l’ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini; Valpreda e Merlino hanno l’assoluzione per insufficienza di prove; il generale Maletti e il capitano Labruna hanno una condanna di quattro anni per depistaggio.
Ma la verità non è ancora appurata e le condanne verranno ribaltate.
Nel gennaio del 1987, pagheranno solo due persone: Maletti e Labruna per avere facilitato la fuga all’estero di Giannettini e del braccio destro di Freda.
Il commento dell’avvocato difensore di Valpreda
“Alcune riflessioni vanno fatte ricordando questa lunga storia processuale. Innanzitutto, l’inefficienza e la dipendenza dei vertici della magistratura e delle forze dell’ordine dalle indicazioni che venivano dalla politica. Ci sono voluti molti anni perché crescesse il rispetto del principio costituzionale di autonomia e di indipendenza della magistratura. Si poteva però prendere esempio da quei magistrati i quali seguirono con intelligenza i doveri derivanti dal rigore professionale insito nelle funzioni giurisdizionali esercitate. Tutta la verità certamente non è emersa, ma a questi dobbiamo quella parte di verità che abbiamo conosciuto malgrado i depistaggi e gli ostacoli che sono stati loro frapposti.” Guido Calvi, avvocato, politico, docente universitario, membro del Csm.
Alla luce priva di retorica e di fronte alla complessità dei fatti, c’è la verità assolutamente sconfortante, quella che gli esecutori materiali restano tutt’oggi impuniti.
Per approfondimenti: https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/12/Attacco-alla-democrazia-6efbe398-6c9e-4206-b0cc-5ac35637706c.html