Sono 27 i soggetti colpiti da provvedimento di fermo emesso dalla Direzione Distrettuale
Antimafia di Reggio Calabria, ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di associazione
mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati
fallimentari ed altro.
Personale della DIA e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria
stanno eseguendo anche sequestri di imprese, beni immobili e disponibilità finanziarie per
un valore complessivo di 100 milioni di euro.
Contemporaneamente, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, sono in
corso di esecuzione ulteriori provvedimenti restrittivi e di sequestro per riciclaggio/reimpiegomnel tessuto economico toscano dei proventi illeciti conseguiti dall’associazione mafiosa.
Maggiori particolari saranno resi noti nel corso della conferenza stampa che si terrà alle ore
11,00, presso il Palazzo di Giustizia di Firenze, alla quale parteciperanno il Procuratore
Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, Dott. Federico Cafiero de Raho ed i Procuratori
Distrettuali di Firenze e Reggio Calabria.
AGGIORNAMENTO DELLE 11,32:
Nella giornata odierna gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio
Calabria, unitamente a quelli del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio
Calabria, hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla
Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia –
nell’ambito dell’operazione denominata “MARTINGALA”.
Il decreto di fermo ha colpito 27 persone, ritenute responsabili a vario titolo dei reati di
associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di
provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento
fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di
false fatturazioni, reati fallimentari ed altro.
Più nel dettaglio, le indagini condotte dalla D.I.A. di Reggio Calabria, sotto la direzione dei
Sostituti Procuratori della DDA dott. Stefano MUSOLINO e dott. Francesco TEDESCO ed
il coordinamento del Procuratore Aggiunto dott. Giuseppe LOMBARDO e del Procuratore
Vicario, dott. Gaetano Calogero PACI, hanno consentito di accertare l’esistenza di un
articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco
(RC) e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni
italiane e persino all’estero.
Gli elementi di vertice dell’organizzazione sono stati identificati in SCIMONE Antonio –
principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle
movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali – nonché in
BARBARO Antonio (cosca BARBARO “I Nigri”), NIRTA Bruno (cosca NIRTA
“Scalzone”) ed il figlio di quest’ultimo NIRTA Giuseppe.
L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite
“cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti,
caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di
pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie.
Le società avevano sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria,
Romania) e dopo non più di un paio di anni di “attività”, venivano sistematicamente
trasferite nel Regno Unito e cessate. Tutto ciò era ovviamente funzionale ad evitare
accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità.
Le fittizie operazioni hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti
di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite,
quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi.
Questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni
commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le
aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano
agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale. Gran parte
di questi clienti erano imprenditori espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche
di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei “tre mandamenti”.
Le approfondite indagini finanziarie portate a termine dagli uomini della DIA hanno
consentito di accertare che, attraverso questo collaudato meccanismo fondato sulle
operazioni fittizie, SCIMONE Antonio ed i suoi sodali riuscivano a far transitare dai conti
delle società cartiere flussi finanziari per diverse centinaia di migliaia di Euro al mese.
Questo vorticoso giro di denaro aveva termine direttamente in Italia mediante bonifici a
società di comodo, oppure sui conti di società estere. Da detti conti il denaro veniva
successivamente prelevato e riportato in contanti in Italia.
L’organizzazione ha dimostrato anche una notevole capacità di infiltrarsi nella gestione ed
esecuzione di appalti pubblici. Ciò è avvenuto con varie modalità, ad esempio con la
predisposizione di contratti di Joint Venture, o anche tramite i contratti di “nolo a freddo”:
tali strumenti contrattuali venivano sviati dalle loro cause tipiche; nelle mani di SCIMONE
diventavano flessibili strumenti funzionali all’esigenza di drenare, in modo apparentemente
lecito, denaro da società che si erano aggiudicate appalti pubblici.
L’attività posta in essere dalla DIA, sviluppatasi anche grazie all’approfondimento
investigativo di oltre un centinaio di Segnalazioni di Operazioni Finanziarie Sospette,
pervenute anche da FIU (Unità di Informazione Finanziaria) estere, ha interessato, tra
l’altro, dinamiche criminali estrinsecatesi nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza
di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione
promossa e capeggiata dallo SCIMONE. Fra questi, si evidenzia la posizione di Pietro
CANALE, (socio di maggioranza ed amministratore della CANALE Srl, società molto
attiva nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), ritenuto responsabile dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita; nonché quella dell’imprenditore Antonino MORDA’, già interessato in passato da
procedimenti in materia di criminalità organizzata.
Con riferimento al MORDA’, è stata documentata la straordinaria liquidità di cui disponeva.
Le indagini hanno dimostrato che tali risorse, di illecita provenienza, sono state reimpiegate
nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in
difficoltà. In tale illecita attività, il MORDA’ è stato attivamente collaborato dai suoi più
stretti sodali, soprattutto Pierfrancesco ARCONTE, figlio del più noto Consolato, già
condannato nel Processo Olimpia quale elemento di vertice della cosca ARANITI.
Nella rete della DIA è finito anche, con la contestazione del reato di riciclaggio, un
impiegato di banca, il quale si è dimostrato sempre solerte nel soddisfare le illecite esigenze del MORDA’.
Un ulteriore filone dell’attività investigativa, approfondito dal G.I.C.O. del Nucleo di
Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, ha riguardato le “prestazioni” che
l’associazione guidata dallo SCIMONE – avvalendosi del complesso reticolo di imprese
allo stesso riconducibili allocate sul territorio nazionale ed europeo (tra cui la società croata
“Nobilis Metallis Doo” e quella slovena “B-Milijon, Trgovina In Storitve Doo”) – ha fornito
alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro ed a MORABITO Giorgio, collegati alla cosca
PIROMALLI.
Tali imprenditori erano stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere
nell’ambito dell’Operazione “CUMBERTAZIONE”, condotta dal citato Reparto della
Guardia di Finanza su delega della DDA di Reggio Calabria, in quanto, quali imprenditori
espressione della ‘ndrangheta, avevano agevolato gli interessi di quest’ultima nel settore
degli appalti pubblici, costituendo, gestendo e di fatto infiltrandosi in un nucleo di oltre 60
imprese, sostanzialmente consorziate tra di loro, che governavano collusivamente le
principali aggiudicazioni dei lavori pubblici nell’area della piana di Gioia Tauro, attraverso
insidiose attività di turbativa delle relative aste.
Partendo da tali risultanze, l’attività investigativa delle fiamme gialle reggine si è focalizzata
sulla ricostruzione dei flussi finanziari legati all’aggiudicazione di due appalti pubblici –
entrambi finanziati con i fondi europei P.I.S.U. (Piani Integrati di Sviluppo Urbano) – che il
cartello d’imprese predetto, sotto la regia del Morabito, ha ottenuto con le accennate
modalità delittuose.
Si fa specifico riferimento, in primis, all’appalto – gestito di fatto dai Bagalà e dal Morabito
– relativo al “Centro Polisportivo a servizio della città – porto” (l’ambito portuale interessato
ricadeva nel Comune di Rosarno che era l’ente appaltante). A tal riguardo, è stato accertato
che la società formalmente aggiudicataria della gara pubblica (Barbieri Costruzioni Srl)
aveva ottenuto un’anticipazione dal predetto ente per € 877.557,12. Tale somma, a sua
volta, per circa 670 mila euro, era stata fatta confluire dai conti correnti della “Barbieri” sui
rapporti finanziari delle società italiane riconducibili allo Scimone e, da qui,
successivamente, su quelli delle imprese estere (le predette NOBILIS METALLIS Doo e BMILIJON).
Infine, da tali conti esteri, sono stati disposti bonifici in favore di vari
imprenditori coinvolti nel sistema (tra cui il Mordà ed il Canale) nonché prelevate somme in
contanti dallo Scimone che sono state poi consegnate al Morabito.
Anche in relazione al secondo appalto, relativo al “Centro Polifunzionale – lato sud del
lungomare di Gioia Tauro” (il Comune di Gioia Tauro era l’ente appaltante), è stato
accertato che quest’ultimo ente pubblico aveva concesso alla società aggiudicataria dei
lavori (“Cittadini Srl”) un anticipo sull’importo del SAL per € 775.966,66 a fronte di fatture
emesse, tra le altre, da imprese riconducibili allo stesso Scimone.
Tutto ciò a conferma che “il cd. Sistema Scimone” – ricorrendo ad un articolato schema di
imprese nazionali ed estere nonché ai correlati rapporti economici e finanziari – ha di fatto
garantito ad intere filiere criminali riconducibili alle principali cosche di ‘ndrangheta locali,
adeguato, sicuro e protetto canale per riciclare i proventi illeciti derivanti, tra gli altri, dei
delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti.
Le indagini, pertanto, hanno evidenziato la caratura criminale di SCIMONE Antonio,
soggetto che spicca come riciclatore professionista al servizio non della singola cosca, ma
della criminalità organizzata della provincia reggina unitariamente intesa, per conto della
quale si è prestato sistematicamente a favorirne gli interessi economici attraverso il suo
collaudato sistema di società di comodo italiane e straniere.
Oltre ai soggetti fermati, a conclusione della lunga e laboriosa attività d’indagine, sono state denunciate, a vario titolo, 46 persone.
In considerazione della tipologia dei reati contestati, che consentono, in massima parte, la
confisca, è stato richiesto ed ottenuto il sequestro preventivo di 51 società con sede in varie regioni d’Italia ed anche all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un
ammontare complessivo di circa €. 100.000.000.
Per l’esecuzione dei provvedimenti, il Centro Operativo DIA di Reggio Calabria ha potuto
contare sul fondamentale apporto delle articolazioni periferiche DIA di Milano, Padova,
Roma e Catanzaro, nonché di personale di supporto proveniente dalla Sicilia, dalla Puglia e
dalla Campania, mentre la Guardia di Finanza è intervenuta mediante l’impiego di 220
militari tratti dai Reparti dipendenti dal Comando Provinciale di Reggio Calabria.
In concomitanza con l’operazione “MARTINGALA”, il G.I.C.O. del Nucleo di Polizia
Economico Finanziaria di Firenze, unitamente al Reparto Operativo – Nucleo Investigativo
dell’Arma dei Carabinieri del capoluogo toscano, ha fatto luce, sotto la direzione della
Procura Distrettuale Antimafia di Firenze, sul riciclaggio/reimpiego nel tessuto economico
toscano dei proventi illeciti conseguiti dall’associazione capeggiata da SCIMONE Antonio,
BARBARO Antonio e NIRTA Bruno, segnatamente nei confronti di imprenditori operanti
nel locale distretto conciario. All’esito delle indagini, la Guardia di Finanza ed i Carabinieri
di Firenze hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14
persone, oltre al sequestro preventivo di 12 società e disponibilità finanziarie.
La complessa attività è stata svolta con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia
e Antiterrorismo.