Il frutto del paradiso: la merendella

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Se volete fare un dono a chi non è di Catanzaro, regalate un bel cesto di merendelle. Non solo perché è un frutto buonissimo, ma soprattutto perché è praticamente introvabile altrove.

La costa ionica catanzarese è l’ habitat naturale di questi alberi dai fiori bellissimi rosa che danno questa rara e pregiata piccola pesca estiva che è dolce, dalle ricche proprietà nutritive, fresca e dalla pelle liscia e sottile.

Esistono tre varietà: madonna di giugno verde, madonna di luglio rosa e madonna di agosto bianca. Si differenziano quindi nel colore a seconda del grado di maturazione.
Alcuni hanno la polpa bianca altri gialla. È anche conosciuta nel termine siciliano sbergia.

La storia della merendella ha origini antichissime.
Esisteva in Cina sin dal 2000 A.C. dove era considerata sacra perché simbolo di immortalità e si credeva che, mangiandola, il corpo non venisse attaccato dalla vecchiaia.
Anche in Giappone si credeva che proteggesse dalle forze malefiche.
Probabilmente fu portata in Italia da Alessandro Magno, nel I°secolo. La storia narra che vide il frutto nei giardini del re Dario di Persia e ne restò incantato.
All’inizio fu coltivata in Grecia e poi in Calabria.

Quasi certmente prende il nome dal latino merenda che potrebbe provenire da meridies, mezzogiorno, ad indicare il pranzo, oppure da merere, meritare, poiché era il pasto concesso agli schiavi.

Non è propriamente economico, ma ciò è giustificato dal fatto che è raro ed è raccolto a mano poiché molto delicato. La superficie stimata di coltivazione è intorno ai 60 ettari nel catanzarese.

La merendella non solo è buona, ma fa anche bene poiché ricca di vitamine, fibre e sali minerali.

È dissetante, depurativa, tonificante. Aiuta il sistema muscolare, è un’aspirina naturale per emicranie. Fortifica le ossa, è un anti aging per i denti, occhi e aiuta la memoria. È consigliata anche per chi ha disturbi nella tiroide.

È un frutto da valorizzare.

Lo slogan potrebbe essere: “mettete un albero di merende le nel vostro giardino.”
Chissà se magari insieme alla vecchia aquila, nel simbolo di Catanzaro, non meriti un posto anche il frutto che più ci appartiene.

Annamaria Gnisci