Caccia ai tordi: il WWF denuncia la Calabria

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La Calabria ignora le sentenze e consente la caccia ai tordi: WWF e associazioni ambientaliste denunciano la regione per la minaccia alla biodiversità e il rischio di sanzioni europee

La Calabria continua a distinguersi negativamente come una delle regioni più permissive d’Italia in materia di caccia. Nonostante le proteste delle associazioni ambientaliste e le sentenze emesse dai tribunali, le istituzioni locali mantengono una politica venatoria che mette seriamente a rischio la biodiversità e viola le normative nazionali ed europee. Negli ultimi mesi, la situazione è precipitata. Tra le decisioni più controverse adottate dalla Regione Calabria:

  • Caccia al cinghiale senza limiti: Nel tentativo di contenere la peste suina, è stato autorizzato il prolungamento della caccia al cinghiale, anche all’interno delle aree protette. Metodi estremi, come la caccia notturna e l’utilizzo di mezzi meccanici, sono stati consentiti, suscitando grande indignazione.
  • Disprezzo delle sentenze: Nonostante il TAR Calabria abbia vietato la caccia ai tordi, la Regione ha cercato di aggirare la decisione, continuando a permettere la caccia di questi uccelli migratori.
  • Violazioni delle normative europee: L’Unione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro la Calabria per aver approvato calendari venatori considerati illegittimi.

Le associazioni WWF, LIPU e ENPA hanno formalmente diffidato la Regione Calabria, chiedendo l’immediata revisione delle decisioni sulla caccia ai tordi e il rispetto delle normative vigenti. Gli ambientalisti avvertono che la regione potrebbe subire pesanti sanzioni economiche per le sue scelte.

«Non si tratta solo di salvaguardare i tordi o i cinghiali,» spiegano i portavoce delle associazioni, «ma di difendere l’intero equilibrio ecologico, di cui questi animali sono parte fondamentale».

La fauna selvatica gioca un ruolo cruciale per il mantenimento degli ecosistemi. Cacciare indiscriminatamente non solo minaccia la sopravvivenza di molte specie, ma altera anche delicati equilibri naturali, con conseguenze potenzialmente gravi per l’intero ambiente. Inoltre, l’attività venatoria non regolamentata può contribuire alla diffusione di malattie infettive, rappresentando un rischio per la salute pubblica.

La Calabria si trova ora a un bivio: continuare a ignorare leggi e sentenze o cambiare rotta per tutelare il proprio patrimonio naturale. Nel frattempo, la pressione da parte delle associazioni ambientaliste e delle istituzioni europee aumenta, e la Regione dovrà rispondere non solo alla legge, ma anche al giudizio dell’opinione pubblica.

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