Prima che si muovessero gli uomini si mossero le montagne, che da Nord migrarono verso Sud e si fermarono in Calabria. Nel parco del Pollino è custodito un pezzo di Dolomiti. Nel parco della Sila si è formato l’altipiano più alto d’Europa. Nel parco dell’Aspromonte è conservata una reliquia di Alpi liguri.
Così esordisce il giornalista del Corriere della Sera Francesco Verderami nel suo articolo scritto pochi giorni fa e dedicato alla Calabria.
La Calabria ha secoli di storia che in tanti misconoscono. Eppure, è la culla di civiltà e il seme di ciò che l’Italia è stata.
Molti associano la Calabria al mare, ma nell’entroterra ci sono bellezze sottovalutate e sconosciute. Il mare la circonda, ma la storia la lega alla montagna perché dal mare venivano le minacce dei Saraceni, ad esempio. I tre Parchi: Sila, Pollino e Aspromonte restano ancora fuori dalla tradizione turistica della regione. Ma chi nutre curiosità e passione, non può non notare ciò che la terra offre.
L’uso del presente nel linguaggio
Condannata a essere sentiero di passaggio tra l’opulenza napoletana e la magnificenza siciliana, la Calabria è stata sempre dominata senza essere però soggiogata. Il punto è che dopo aver fieramente combattuto greci e romani, spagnoli e piemontesi, i calabresi hanno dovuto combattere anche contro sé stessi. C’è un motivo infatti se i loro dialetti jonici e tirrenici non prevedono verbi coniugati al futuro; secondo la tradizione ciò che viene non è mai determinato dall’uomo ma da un’autorità superiore. È il fatalismo insomma a plasmare l’indole, a limitare il senso di intrapresa e a guidare persino i gesti quotidiani.
George Gissing ha scritto molto riguardo la Calabria, descrivendo usi, storia e natura. L’autore inglese nel suo “Sulle rive dello Ionio” descrive il cibo e il rito del pranzo. «La massa non ha tempo di occuparsi d’altro che dei mezzi di sussistenza per placare la fame». Verderame legge in queste parole la paura e il rispetto per le forze della natura legate a un terremoto o una alluvione. La lotta per la sopravvivenza impone di pensare solo al presente, laddove non si rassettava la tavola fino al pasto successivo.
La bellezza dei parchi
Eppure, questi tre parchi, che sono altrettanti microcosmi pieni di tesori naturali e artistici degnamente tutelati. Essi spezzano le maldicenze sulla Calabria e spogliano i calabresi dei loro alibi. Basta visitarli per comprenderlo. Sul Pollino i millenari pini loricati fanno da corona a opere di valore come l’Abbazia della Matina. Essa è ciò che resta di un monastero benedettino dove nel 1065 si inginocchiò Urbano II, il Papa della prima crociata. Più a sud, nella Sila, i «cinquanta giganti» sono pini che sembrano braccia protese verso Dio, colonne di una ardita cattedrale gotica.
Come non citare La Cattolica di Stilo, gioiello bizantino, citato nei libri di arte e frutto di storia antica?
Gli idiomi antichi
E ciò che era ancora è, perché le montagne sono forzieri inespugnabili, dove nei secoli valdesi e albanesi hanno cercato scampo e trovato dimora. Nel Pollino si parla arbreshe e sull’Aspromonte si può sentire l’idioma più prossimo alla lingua di Omero, perduto in Grecia ma trasmesso oralmente da tremila anni nei paesi di Calabria. Qui preti e papas hanno gli stessi fedeli. A Gallicianò, poche decine di anime e due chiese, le donne seguono il rito cattolico e poi la funzione ortodossa. Così hanno risolto conflitti e scismi, partecipando a entrambe le liturgie. Il sincretismo si mischia ai riti magici che si svolgono sulla Pietra dell’Altare in Sila, dove tra macigni levigati e misteriosamente allineati per centinaia di metri leggenda vuole che abbia detto messa Carlo Magno.
Il mare come una minaccia
Ora, è vero che sulle rive dei due mari si contemplano lo Stretto, i resti della Magna Grecia di Sibari Crotone e Locri, le vestigia romane e le torri d’avvistamento saracene. Ma il mare è temuto come i suoi doni, anche quando hanno le sembianze dei Bronzi di Riace, rapiti all’epoca del ritrovamento e poi riconsegnati nel disinteresse nazionale. D’altronde dal mare arrivavano le insidie, e sulla riva del mare si consumò il tradimento dell’industrializzazione, decisa negli anni Settanta a Roma per sedare quella che inizialmente era stata una «rivolta di popolo», come scrisse Enzo Biagi.
La montagna cuore della Calabria
Il mito della modernità e i cortei di «Nord e Sud uniti nella lotta» si rivelarono però un raggiro e chi rimase vide deflorato il proprio territorio. Ecco perché ad Africo, paese costruito negli anni Cinquanta sulla costa, gli abitanti non frequentano mai la marina ma tengono lo sguardo sempre rivolto verso il vecchio borgo che furono costretti ad abbandonare, e che riposa nel cuore della montagna primigenia d’Aspromonte, la montagna che si muove. E se il Pollino è stato adottato dall’Unesco per il suo patrimonio ambientale, se la Sila con i suoi pini neri ha fornito legna e pece alle flotte del Mediterraneo dai tempi della Magna Grecia fino al periodo borbonico, l’Aspromonte è un’autentica foresta vergine, con zone che da seicento anni non conoscono la manomissione dell’uomo.
La unicità dell’Aspromonte
L’Aspromonte, di una bellezza violenta e stordente, è il balcone dal quale Garibaldi si sporse per ammirare Scilla e Cariddi, visibili da quasi duemila metri a occhio nudo. Ma all’interno la montagna è una fortezza impenetrabile: nemmeno l’ultima glaciazione riuscì a violarla e a strapparle alcune specie vegetali e animali che ancora oggi tiene in ostaggio. Certo, questi luoghi di contemplazione attraversati da Carlo V di ritorno dalla sua vittoriosa campagna d’Africa sono stati poi profanati e trasformati in luoghi di tortura, causa di vergogna collettiva da cui non si può sfuggire. A patto però che il pregiudizio non costringa ancora un’intera regione in catene. In Calabria ci sono tre parchi che raccontano una spettacolare storia di migrazione e di integrazione dal Nord al Sud.
Un ringraziamento a chi ha saputo guardare questa terra con occhi diversi, a chi solca i sentieri di amore e rispetto verso la Natura, la Storia e le vicende di un lembo d’Italia che merita di essere considerata per il valore che porta dentro, da sempre.
Annamaria Gnisci