Ne avevamo parlato tempo fa, quando alcuni volontari l’aveva trovata agonizzante. Afrodite non ce l’ha fatta. Dopo due mesi di cure da parte dei volontari del Centro CRTM di Brancaleone, la caretta caretta, splendido esemplare di tartaruga marina, ha smesso di vivere.
Il ritrovamento
Afrodite, chiamata così come la bellissima dea greca senza braccia, era avvolta in una lenza con un cerchione arrugginito di una vecchia bicicletta e soccorsa per essere portata nel centro. È morta alla Sea Turtle Clinic seguita dal professore Di Bello.
Amarezza della volontaria
Tania Il Grande, la giovane volontaria che l’ha curata, ha dato la notizia. «Il 3 maggio Afrodite si è arresa, ha smesso di soffrire dopo aver lottato per quasi due lunghi mesi con tutte le poche forze che aveva. Dopo l’amputazione della pinna sinistra, si sono susseguite varie settimane di cure intense e approfondite alla altra pinna, cercando, invano, di bloccare la necrosi che, ormai galoppante, aveva invaso tutti i tessuti aggravando sempre di più le condizioni generali di Afrodite».
«Era avvolta in tantissima lenza di nylon con entrambe le pinne anteriori, a un cerchione di bicicletta e a un galleggiante in sughero che, ormai imbevuto di acqua, raggiungeva un notevole peso. Trascinava tutto a nuoto, mentre la lenza provocava una stretta sempre più energica alle sue pinne anteriori, fino a lesionarle in maniera tanto grave da generare la cancrena ad entrambi gli arti. Una trappola mortale che non le ha lasciato scampo!».
«Ne arriva almeno una a settimana in queste condizioni. A volte invece le ritroviamo già morte ma speriamo che la vicenda di Afrodite abbia smosso le coscienze delle persone, perché ci troviamo in un’epoca cruciale in cui siamo proprio noi ad avere il potere di decidere le sorti della Terra, e con i nostri comportamenti stiamo compromettendo irrimediabilmente quello che potrebbe esistere nel futuro del nostro pianeta. Ci auguriamo che il sacrificio di Afrodite non venga dimenticato, ma anzi che sia da monito per un cambio di rotta ormai inevitabile».
Annamaria Gnisci