La Sila è mistero, è arte, è antico, è la mano rachitica degli antenati che accarezza il delicato presente. Un presente cospicuo di cultura contadina, che Pierluigi Virelli, cantante, polistrumentista e ricercatore etnografico, ci mostra attraverso un documentario, “Ai piedi della Sila”, andato in onda durante la trasmissione “Geo” su Rai Tre, realizzato con i registi Francesco Cordio e Fabrizio Marini.
Cinque teatri naturali protagonisti: Sila, Cotronei, Mesoraca, Roccabernarda e Cutro.
Il musicista, da abile pifferaio magico, con l’animo di un bambino, ci guida nelle tradizioni del suo territorio, fra gastronomia e artigianato, intrecciando una storia che è la nostra storia, proprio come fa Vittoria, anziana di Roccabernarda: da sessant’anni usa lo stesso telaio producendo delle coperte di raro splendore, testimoni della dote femminile, poiché è d’usanza ancora oggi, fra le giovani del luogo, il corredo per maritarsi.
Stella invece, abitante di Cotronei, è una ricamatrice che ha voluto proseguire l’arte del ricamo, iniziata dalla nonna: le sue mani si muovono con soavità, come in una danza incorporea.
Virelli è il direttore d’orchestra di questa Sila autentica e melodiosa: Carmelo, il pastore, che dopo aver prodotto il formaggio, utilizza il siero residuo per ammorbidire e piegare i collari delle sue capre, ognuno dei quali con un suono diverso; Angelina e il tonfo dell’impasto sulla spianatoia, che diventerà una succulenta pitta (pane tipico); o la stessa Vittoria, che col suo telaio, a piedi nudi schiaccia i pedali, suonando come ad un pianoforte, la sinfonia della dolcezza.
Una favola calabrese che rammenta la memoria del Mezzogiorno, costruita col sudore, la schiena curva, la fatica e le lacrime, ma anche da cose buone, oneste e all’apparenza piccole, come un buon bicchiere di vino o una serenata al chiaro di luna con la chitarra battente.
Elemento fondamentale celato alla nostra percezione è il cerchio: dalle mani attente del pastore, a quelle screpolate del calzolaio o a quelle deformi della massaia, danza, in un infinito girotondo, la continuità del passato, evocata da una regione che va ben oltre le apparenze e l’equivoco di una nomea, rivelando l’altra metà della medaglia.
Un documentario avvolto dalla semplicità, che mostra una Calabria lontana dalla tecnologia e dal frenetico vivere moderno.
Virelli ricorda che siamo figli dell’Universo e in quanto tali abitiamo in coloro che ci hanno preceduto e in coloro che ci sostituiranno: i bisnonni, i nonni, i genitori, sono il filo d’oro con cui cuciamo la nostra ombra sulla terra.
La sensibilità, l’empatia, il ritorno alle radici, possono essere carpite dalla pelle bruciata del contadino: basta chiudere gli occhi, poggiare l’orecchio sul petto affaticato di Carmelo, Angelina o Vittoria, per udire il battito dei loro cuori fuso a quello arcaico della Sila.Jean Léon Juarèss scriveva: “La tradizione non consiste nel mantenere le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma” e Virelli, aspira proprio a questo: il falò della conoscenza e della continuità, deve ardere in tutti noi, perché a volte guardare indietro, non è fermarsi, ma è fare dei passi avanti verso il futuro.