Il Mind the Gap Festival: riflessioni sul Caso Cucchi e i diritti in Italia
Il Professor Bilotti ha dato il via alla discussione al Mind the Gap Festival con una rapida panoramica del caso di cronaca. “Se i fatti sono incontrovertibili, dobbiamo capire come si è arrivati a quella situazione”, ha dichiarato. Sul palco del Mind the Gap, il Professor Charlie Barnao, ha affrontato il caso di Stefano Cucchi. Noi abbiamo intervistato l’esperto di sociologia, per ottenere un’analisi approfondita sul caso. Vi invitiamo a guardare l’intervista video allegata all’articolo, realizzata in esclusiva da noi di Calabria Magnifica.
“Ilaria Cucchi, con il suo libro ‘Vorrei dirti che non eri solo’, offre una narrazione dalla quale possiamo apprendere molto”, ha sottolineato il Professor Barnao. Ilaria, la sorella di Stefano Cucchi, ha spiegato via telefono come l’idea per il libro sia nata poco dopo la morte di Stefano, dalla forte necessità di raccontare la sua storia e di smascherare l’ingiusto tentativo di criminalizzare la vittima.
In Italia, la questione dei diritti delle persone in custodia cautelare è urgente, così come è urgente affrontare l’abuso della carcerazione preventiva, con il rischio conseguente di cadere nell’oblio collettivo.
L’analisi del caso al Mind the Gap ha assunto una prospettiva scientifico-sociale con il Professor Barnao. Ha esplorato il concetto di stigma associato alla vittima e al carnefice, evidenziando come questo giustifichi o condanni le azioni commesse o subite. “Era un tossico, se l’è meritata” giustifica un’azione, mentre dall’altra parte assolve ogni punizione.
Il tema delle istituzioni totali, quali carceri, ospedali e riformatori, è stato altresì trattato per discutere i casi di tortura, come nel caso di Cucchi. Si è posto l’accento sui casi di violenza perpetrata dalle forze dell’ordine contro i cittadini, una realtà presente nella storia nazionale italiana.
Il Mind the Gap Festival ha dunque fornito uno spazio cruciale per riflettere su queste questioni fondamentali che riguardano i diritti individuali e il sistema giudiziario italiano.
Storia di Stefano Cucchi
La storia di Stefano Cucchi ha inizio la sera del 15 ottobre 2009. Stefano, un geometra di 31 anni di Roma, viene arrestato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti per possesso di droga. In seguito alla perquisizione, vengono rinvenuti addosso a lui 20 grammi di hashish, cocaina e alcune pastiglie per l’epilessia, una patologia da cui era affetto. Dopo l’arresto, viene condotto in caserma e gli viene applicata la custodia cautelare in carcere. Sette giorni più tardi, muore all’ospedale Pertini. Questo tragico evento segna l’inizio di una complessa vicenda giudiziaria e di una lunga ricerca della verità, soprattutto da parte della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi.
La Morte di Stefano Cucchi: cronaca di un tragedia annunciata
La vicenda che ha portato alla morte di Stefano Cucchi si dipana rapidamente dopo il suo fermo. Il giorno successivo al suo arresto, il 31enne viene processato in udienza direttissima, dove il giudice decide di trattenere Cucchi in custodia cautelare presso il carcere di Regina Coeli, in attesa di un’udienza successiva prevista per il mese seguente, novembre 2009.
Già durante l’udienza per la convalida dell’arresto emergono segnali preoccupanti sulla sua salute. Il medico del tribunale lo visita e, dopo il suo trasferimento al carcere, viene nuovamente esaminato nell’infermeria di Regina Coeli. Nonostante le condizioni critiche, Stefano rifiuta il ricovero e viene rimandato in carcere.
Il giorno successivo, la sua situazione peggiora ulteriormente. Viene trasferito nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, dove muore il 22 ottobre. Al momento della sua morte, il suo peso è ridotto a soli 37 chili. Durante i sei giorni trascorsi all’ospedale, la sua famiglia non riesce mai a vederlo.
Il 29 ottobre 2009 si tiene una conferenza stampa organizzata dall’associazione “A Buon Diritto”. Durante l’evento, vengono distribuite delle foto scattate prima dell’autopsia di Stefano, inviate dalla famiglia del giovane all’associazione. Queste immagini hanno suscitato grande scalpore: mostrano il corpo estremamente magro di Stefano, con ematomi sul viso, un occhio aperto e uno chiuso, un livido nero sul coccige e vari segni sul corpo.
Verdetto controverso e ricerca di giustizia
Dopo la morte di Stefano Cucchi, sei medici, tre infermieri e tre agenti penitenziari sono inizialmente rinviati a giudizio con varie accuse, tra cui abbandono d’incapace, abuso d’ufficio e lesioni. L’ipotesi iniziale dell’accusa suggeriva che Cucchi fosse stato picchiato durante la sua detenzione e che fosse stato abbandonato in ospedale, lasciato morire per mancanza di cibo e acqua.
Nel corso del primo processo, i giudici giungono a una conclusione diversa: non vi è evidenza di pestaggio, ma piuttosto di morte per “malnutrizione”.
Nella sentenza di primo grado del giugno 2013, gli unici condannati sono i medici dell’ospedale Pertini, accusati di omicidio colposo. Gli infermieri e gli agenti penitenziari sono invece assolti. L’appello del 31 ottobre 2014 ribalta la situazione: tutti gli imputati vengono assolti per insufficienza di prove, senza distinzione di ruoli.
Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, annuncia ricorso in Cassazione. La Corte Suprema decide di annullare parzialmente la sentenza e ordina un nuovo processo di appello per omicidio colposo per i medici. Le assoluzioni per gli agenti penitenziari e gli infermieri del Pertini vengono invece confermate.
L’appello-bis si conclude con una nuova assoluzione per i medici, lasciando la famiglia Cucchi ancora alla ricerca di giustizia per la morte di Stefano.