Aletti: «E’ da condannare la guerra non la cultura russa»
«Non solo essere un russo vivente oggi è una colpa in Italia, ma anche essere un russo morto». Così lo scrittore parmigiano, Paolo Nori, trattenendo a stento le lacrime, aveva denunciato, pochissimi giorni fa, che l’Università “Bicocca” di Milano ha rinviato un corso che lo stesso Nori doveva tenere sui romanzi del celebre romanziere e filosofo russo Fedor Dostoevskij (1821-1881), per «evitare ogni forma di polemica in quanto momento di forte tensione» alla luce della guerra in Ucraina. «Dostoevskij – aggiunge Paolo Nori – fu condannato persino a morte perché aveva letto una cosa proibita».
A commentare l’episodio, anche il poeta, editore e formatore Giuseppe Aletti, titolare della omonima casa editrice ed animatore di una tra le più esclusive comunità letterarie italiane da quasi trent’anni. «Credo che nessuno nella nostra comunità o in qualsiasi altra comunità letteraria possa, anche lontanamente, giustificare l’invasione armata dell’Ucraina. E, sicuramente, nessuno ne dedurrà indulgenza o redenzione da alcuni seminari riguardanti autori russi. Ma censurare Dostoevskij non ci rende più civili, anzi. E quale sarebbe il prossimo passo? Evitare qualsiasi iniziativa pubblica sulla letteratura russa?».
Il maestro Giuseppe Aletti, ideatore due anni fa di un concorso internazionale dedicato proprio al noto autore russo, si dice sconcertato da questo episodio. Il premio è suddiviso in diverse sezioni: “Narrativa”; “Saggio o tesi di laurea”; “Teatro”; “Poesia”; “Sezione Aletti Editore”; “Musica”; Premio “Faretra”.
«Quando ho indetto il concorso dedicato a questo autore immenso – afferma Aletti – sapevo di andare incontro a inutili polemiche strumentali. Vorrei farvi leggere alcuni commenti sotto i post pubblicitari dove facciamo conoscere di anno in anno questa prestigiosa manifestazione. I leoni da tastiera – racconta l’ideatore del primo ed unico paese della Poesia in Italia – sfogano le proprie frustrazioni contro tutti, per cui non c’è da preoccuparsi, fanno parte del folclore della rete. Tuttavia – aggiunge il poeta e critico letterario romano ma calabrese di origine – mai avrei voluto leggere una sorta di tentata censura preventiva. Sono tempi preoccupanti per il pensiero divergente, di cui siamo portatori da sempre. Ciò che dobbiamo condannare è la guerra non la cultura russa, che come ogni cultura ha molto da comunicare e da condividere». E Aletti si sofferma proprio sull’importanza della cultura, che, a volte, «può essere addirittura temuta per la forza dirompente che può scatenare».
Mai arrendersi, dunque. «Spero che il putiferio scatenato, eviti altri scivoloni del genere in futuro. Questo dimostra, però, quanto sia importante quello che facciamo. E alla Aletti lo sappiamo bene. Non si contano le volte che politici locali e amministrazioni miopi si siano opposte o hanno reso difficoltose le nostre iniziative. Ma – conclude Aletti – non dobbiamo demordere. È il naturale percorso dell’uomo di cultura che davvero riesce a trafiggere l’animo umano».