FC 2020, Donato Carrisi: «La cultura è un’industria e non dobbiamo aver paura di parlarne»

Donato Carrisi
Donato Carrisi

Donato Carrisi: «La cultura è un’industria e non dobbiamo aver paura di parlarne. Liberiamoci da questa ipocrisia»

“La cultura è un’industria e non dobbiamo aver paura di parlarne, liberiamoci da questa ipocrisia. C’è un’industria culturale e gli autori vivono di questo”. Ha esordito così ieri sera Donato Carrisi, aprendo la seconda edizione del Fare Critica – il festival interamente dedicato alla critica, ideato e diretto da GianLorenzo Franzì –, in un incontro in diretta streaming moderato dal critico e direttore della rivista Film Tv Giulio Sangiorgio.

Sangiorgio, riferendosi ad un’intervista all’autore pubblicata proprio sul suo giornale, gli ha chiesto di parlare dell’importanza della parola “industria”, a volte temuta dagli artisti. “Quando sento parlare di cinema o romanzo d’autore, scappo. È una definizione che non amo affatto e da cui fuggo. Credo sia un tradimento della sospensione dell’incredulità. Se una cosa è d’autore non è più sincera”, ha continuato lo scrittore e regista.

Carrisi, infatti, nel corso della sua produzione artistica ha sempre messo al centro il pubblico, dando a chi fruisce dell’opera l’importanza che merita. “Mi diverto a giocare con le strutture e ho il massimo rispetto per lo spettatore e il lettore. Credo che, tanto i film quanto i libri, uno se li debba portare dentro, non devono essere un’esperienza conclusa nel momento in cui terminano. Per questo, nei miei libri lascio sempre un finale chiuso e un finale aperto. Io desidero che le mie opere siano capaci di porre delle domande. Abbiamo dimenticato la piacevolezza dello sforzo di arrivare fino in fondo”.

D’altronde, tutti i suoi romanzi, così come i suoi film, trattano sempre tematiche ancestrali, e il genere è un espediente narrativo per narrarle. Uno strumento che non sempre è amato, più che dalla critica, per cui Carrisi nutre “enorme rispetto” definendola “aperta anche alle varie sfaccettature e complessità davanti alle quali ci pone il genere”, dai salotti intellettuali e da alcuni premi letterari.

Il genere è lo strumento più utilizzato per raccontare storie e può rappresentare anche un’opportunità per esportare il proprio immaginario. Un obiettivo che noi in Italia, al contrario di molti paesi nordici che invece sono stati abili in questo, non siamo mai riusciti a centrare. Penso al giallo per esempio, per cui abbiamo avuto un grande capofila come Camilleri, ma da cui purtroppo non si è mai creato un vero e proprio movimento. Perché non è successo? Si ritorna al tema del provincialismo. Non siamo capaci di esportare l’immaginario culturale italiano oltre Roma o Venezia. Ed è un peccato, per la cultura italiana. Dovremmo essere più coraggiosi nelle storie da raccontare” ha continuato l’autore.

L’incontro, poi, si è concluso parlando del ruolo essenziale che ancora oggi svolge la critica – “Io credo fortemente nel ruolo sociale e culturale della critica, credo sia essenziale. Le critiche, quando sono intellettualmente oneste, le apprezzo e le rispetto. Ciò che non comprendo e non sopporto sono le stroncature gratuite, magari su internet, sugli store online che valutano un libro dando un voto negativo perché hanno ricevuto in ritardo la spedizione. Non comprendo le critiche che mettono in discussione il tuo lavoro senza rispettare e prendere minimamente in considerazione il fatto che dietro a un libro e a un film ci sia il lavoro di centinaia di persone”.