«Essere fatalisti non serve a nulla. E non mi pare, francamente, che abbia portato il Mezzogiorno d’Italia a raggiungere risultati incoraggianti. L’atteggiamento dell’attendere è sbagliato. Così come quello del chiedere. Bisogna reagire e combattere i soprusi. Sperando di non vivere più in controluce rispetto agli splendori di un Nord produttivo». Carlo Puca ha parlato alla “pancia” del pubblico, senza mezzi termini. Senza metafore. Diretto – e provocatorio – com’è il titolo del suo libro, “Il Sud deve morire”, presentato nel corso di un nuovo appuntamento del Festival d’Autunno. Al Museo MARCA, di fronte a una platea caratterizzata dalla presenza di tantissimi giovani (molti studenti del Liceo Classico “Galluppi”), il giornalista e scrittore di Panaroma ha risposto alle domande del direttore del Corriere della Calabria, Paolo Pollichieni. Quest’ultimo, introducendo il dibattito, ha definito il libro di Puca «un ulteriore tassello nel mosaico della storia del Sud che, ormai da qualche anno, è scritta da intellettuali del Meridione. Si comincia a conoscere questa parte d’Italia attraverso le fatiche letterarie di chi la vive». Pollichieni ha suggerito di valutare la differenza, quando si parla di fuga di cervelli, «tra quelli che hanno scelto di andare via e quelli che sono stati cacciati. Bisogna smetterla con le ipocrisie: non “ce ne siamo andati” ma è spesso giusto dire: “ci hanno cacciato”». Bisogna partire da questo, ha affermato il direttore, riconoscere «che il nemico ce l’abbiamo in casa. E queste cose Puca le spiega bene nel suo libro che è straordinariamente disordinato: non ci sono categorie ben definite». Secondo Pollichieni, «al titolo del volume bisognerebbe aggiungere un punto interrogativo. “Il Sud deve morire?”. Se morirà non dobbiamo prendercela con fattori esterni; se sopravviverà è perché ci si è rimboccati le maniche».
Puca ha spiegato la genesi del libro. «E’ nato dall’idea di raccontare il Sud come non si faceva più da anni: un reportage intenso, caratterizzato da un viaggio di 3000 chilometri, durato circa 70 giorni. Chiaramente, sotto questo punto di vista, un libro costoso ma a mio avviso l’unica vera possibilità di conoscere il Meridione in profondità». Lo scrittore ha quindi illustrato alcuni aneddoti. «In Campania – ha raccontato – c’è il record mondiale di parti cesari. E le ragioni sono due. La prima è che i medici incassano di più e poi, siccome hanno tutti le barche, i ginecologi programmano gli interventi fino a venerdì per essere liberi di svolgere il proprio hobby». Parlando della Salerno – Reggio Calabria, Puca si è soffermato sul capitolo che ha dedicato agli autogrill. «Leggendo un numero di “Quattroruote”, c’era un servizio con una serie di recensioni sulle stazioni di servizio. Ebbene: la Sa-Rc – ha raccontato – non era nemmeno considerata, come se per il giornale non fosse un’autostrada. Allora mi misi in macchina e feci io le recensioni. Scoprii che il 90% delle strutture sono le stesse dal 1972: in pratica non si è mai speso un euro per migliorarle».
Altro episodio che Puca ha posto all’attenzione dei presenti, il “caso” Papasidero. «All’anteprima romana de “Il Sud deve morire” ho domandato alla platea: “Chi di voi sa dov’è Papasidero e cosa è la Grotta del Romito?”. E’ seguito un silenzio assordante e imbarazzato, a maggior ragione quando ho svelato che stavo parlando del sito paleolitico più importante d’Europa. Ma nessuno lo sapeva. Pensate che nella Grotta gli scavi li fanno, appena tre settimane ogni anno, pochissimi volontari provenienti da Firenze, peraltro ospitati nelle case dei papasiderani. Incredibile ma vero».
«La mia tesi – ha concluso – è che il Sud è in coma e viene tenuto volutamente in questo stato perché sul Meridione ci mangiano sempre gli stessi. Come se ne esce? Dobbiamo uccidere questo Sud così com’è, uccidere chi ci mangia. Bastano piccoli comportamenti culturali per cambiare». L’autore, a tal proposito, ha citato l’ottimo risultato della raccolta differenziata a Catanzaro come esempio di atteggiamenti virtuosi che possono modificare le cose.
E’ toccato al direttore del Festival, Antonietta Santacroce, trarre le conclusioni del dibattito, anche oggi andato in diretta sulla pagina facebook della rassegna: «Tra quanto ci hanno raccontato don Aniello Manganiello e monsignor Mimmo Battaglia ieri e Carlo Puca oggi – ha detto – abbiamo chiara l’idea che non esiste una situazione per forza cristallizzata. Nulla è immodificabile: basta prenderne coscienza, provando a intraprendere la strada del cambiamento».
Santacroce ha poi ricordato l’appuntamento di domani, venerdì 18 novembre, quando, sempre al Marca, si parlerà di sicurezza e di accoglienza degli immigrati. La tavola rotonda sarà moderata dalla giornalista Mediaset Giancarla Rondinelli. Tra gli ospiti, il primo cittadino di Riace, Mimmo Lucano, inserito nell’elenco delle personalità più influenti nel mondo dalla rivista americana “Fortune”, che nel suo comune ha sviluppato un sistema di accoglienza per gli immigrati che ha permesso di rianimare un tessuto sociale ripopolando il borgo; il sindaco di Gioia Tauro, Giuseppe Pedà; Vincenzo Pepe, presidente della fondazione di cultura meridionalista Giovan Battista Vico di Napoli; il giornalista Michele Albanese, neo Cavaliere della Repubblica, calabrese di Polistena che da qualche anno vive sotto scorta perché la ndrangheta vorrebbe vederlo morto.