“I, Robot”: intervista all’artista catanzarese Massimo Sirelli

Massimo Sirelli nel suo studio di Catanzaro (foto di Sharon S.)
Massimo Sirelli nel suo studio di Catanzaro (foto di Sharon S.)

“I, Robot”, no! Non è il film diretto da Alex Proyas nel 2004 con protagonista Will Smith, ma è il titolo che ho dato alla mia intervista fatta all’artista catanzarese Massimo Sirelli, classe 1981 per Calabria Magnifica.it.

Massimo, con grande disponibilità, mi ha permesso di raggiungerlo nel suo studio di Sellia Marina (CZ) per un incontro faccia a faccia e mi ha permesso di entrare nel suo mondo. E devo dire che il confronto è stato a dir poco entusiasmante.

Perché “I, Robot”, vi chiederete… perché proprio i robots da qualche periodo a questa parte sono i protagonisti delle opere di creazione, assemblaggio e di restauro di Massimo Sirelli.

Robots, ma non solo robots. Anche writing, arte pubblica, graffiti, arte visiva, arredo urbano, digital design e tanto altro.

Ma cercherò ora insieme a voi di entrare nel mondo-persona di Massimo Sirelli e di capirne di più.

“Se non mi segui, resti indietro” si legge sul tuo sito. Cosa mi sono persa? Aggiornami, intanto sei sempre di base a Torino?

“Si sono di base a Torino, anche se vorrei ritornare nella mia città. Cosa ti sei persa?! Non lo so nemmeno io. Gli ultimi 3/4 anni sono stati così pieni che faccio fatica a ricostruirmi. Ho fatto cose importantissime e il giorno dopo avevo cose più importanti o meno importanti. E sono state una dietro l’altra. Ora siamo alla fine del 2019 e devo fare il riepilogo di come è andato quest’anno. Sto facendo fatica.

Questo è stato l’anno in cui è uscito – Copperman – e i miei robots sono andati dentro ad un film. È stato l’anno in cui ho incontrato il Presidente della Repubblica. È stato l’anno in cui ho installato le mie opere nella città di Dubai. Ho dipinto una chiesa per la prima volta, una chiesa calabrese è stata completamente dipinta!”.

Hai detto che tra le altre cose, hai incontrato il Presidente della Repubblica Mattarella. Vuoi spiegarmi un po’ di questo tuo straordinario incontro?

“Un incontro straordinario, sì. Innanzitutto, perché mai mi sarei sognato che, partendo da Sellia Marina, col tempo sarei arrivato al Quirinale, durante i giorni della Ricerca, come ambasciatore AIRC. Perché io tra le tante cose sono ambasciatore AIRC, per cui sostengo la ricerca con i miei artworks.

E poi anche come sportivo perché ho corso la maratona di Milano in staffetta e con altri ambasciatori abbiamo raccolto fondi.

Arrivare al Quirinale è stata un’emozione perché quel giorno c’erano tanti invitati e tra i vari incroci in questo grande salone il Presidente è passato vicino a me e ci siamo intercettati lo sguardo da lontano.

Ero talmente felice, talmente era il mio sorriso che è stato captato e si è avvicinato per stringermi la mano e per augurarmi – buon lavoro –.

E io l’ho preso di buon auspicio questo incoraggiamento. Perché se è vera una cosa, è che io sono un gran lavoratore.

Lavoro tantissimo. Sono instancabile. Forse è grazie a questo che ho ottenuto risultati, più che per le mie capacità. Le capacità sono importanti, ma senza ombra di dubbio sono importanti l’impegno e la costanza. Non mi sono mai arreso, eppure ne ho prese porte in faccia”.

Prima di parlare dei tuoi robots, partiamo dal tuo ultimo lavoro. L’importante riserva naturalistica calabrese Valli Cupe porta la tua firma. Cosa mi dici a riguardo?

“Concludo il 2019 in bellezza collezionando quest’ultima grande opera pubblica. Il centro d’accoglienza della riserva delle Valli Cupe è una Palazzina importante, perché segna l’ingresso alla riserva. Da lì i turisti che sono tanti, centinaia di migliaia, che ogni anno vanno a visitare questi canyon, queste cascate, passano e vedono questa porta di ingresso, che ora è arricchita dalla mia opera, che si intitola “Petra”, in dialetto.

– Petra – perché vivendo la quotidianità del paese mi è entrata dentro questa cosa: ovunque le strade, le piazze, i muri di contenimento, i muri delle case, gli abbellimenti, i marciapiedi, sono fatti con la pietra locale. E quindi dacché dovevo fare un determinato bozzetto sempre – multicolor -, che caratterizza il mio lavoro, le sagome che dovevano essere geometriche, sono diventate pietre, hanno preso quella forma lì.

E il complimento più bello che mi ha fatto in maniera diffusa, più di una persona, è stato – sembra sia sempre stato così –. La novità era parte integrante dello skyline. E quello è stato il risultato migliore a cui io potessi ambire. Il risultato credo sia dovuto al fatto che questo – multicolor – segua le forme familiari ai cittadini a cui – Petra – ha dato continuità con le mie pietre colorate”.

Facciamo ora qualche passo a ritroso. “Tutto il bello che c’è”, la rubrica del tg2, a cura di Ida Colucci, ti ha dedicato nel 2017 un approfondimento sulla tua iniziativa “Adotta un Robot”. Sono passati già due anni. Come vanno le adozioni?

Le adozioni vanno sempre bene. Lente. Perché sono pochi i robots che finiscono sul sito e sono pochi i robots che vengono affidati alle persone.

È una cosa che mi piace viverla in maniera – slow –. Sarebbe violenta altrimenti questa produzione e vendita dei pezzi.

Alcuni dei pezzi che ti ho fatto vedere oggi hanno avuto gestazioni di anni. I tre russi che vedi lì, quel trio sovietico, è in bozza da due anni e qualcosa. E forse nei prossimi giorni saranno completati.

E tutti i robots seguono questo tipo di lentezza in media. Una creazione può nascere da zero alla fine in un’ora ed il robot è fatto perché da soli si mettono insieme i pezzi. Oppure anni. Perché non coincide il momento dell’ispirazione al tempo a disposizione, oppure alla ricerca del pezzo mancante. Se manca il pezzo che mette tutto in equilibrio non puoi completare l’opera. – L’uomo volante – ad esempio, in metallo, è rimasto fermo per anni.

Quest’opera, che rappresenta una sorta di bilancia perfetta, si è creata soltanto mettendo questa serie di pezzi avvitati e imbullonati.

Per i lettori di Calabria Magnifica.it vuoi spiegare cos’è “Adotta un Robot” e “Un Robot per amico” e come l’assemblaggio dei pezzi arriva al prodotto finale?

Adotta un robot è la prima casa di adozione di robots da compagnia. Il luogo dove tu puoi entrare in contatto con i miei robots, conoscerli e richiederne l’adozione. Lì vengono raccontate le biografie, viene raccontato da dove arrivano i pezzi, in qualche modo ho condiviso momenti di vita personale attraverso i robots.

– Un robot per amico – invece è il workshop che ormai ho fatto mio sotto questo titolo ed è il momento in cui io incontro le persone che si vogliono avvicinare ai miei robots e mettersi alla prova. – Un robot per amico – viene personalizzato, per cui può essere un workshop per bambini, o un’esperienza condivisa tra genitori e figli, oppure un workshop a classe mista, dove gli adulti si ritrovano come compagni di banco i bambini.

E questo è il contro circuito che più mi piace. Perché si trova il professionista che vuole imparare come assemblare i pezzi ed il bambino che vuole giocare. In più è strana la relazione che viene a crearsi, perché ritrovarsi con un bambino estraneo e viceversa con un adulto estraneo è difficile da gestire.

In quel momento di gioco però si abbassano le barriere, non hai paura perché sei in un luogo protetto ed è proprio il gioco l’elemento – media – comunicatore, che permette loro di parlare, di scambiarsi i pezzi, la colla a caldo.

Si crea un’unione e il robot è solo una scusa. Oggi attraverso i robots faccio avvicinare le persone. Solo il mese scorso ho fatto – Un robot per amico – alla – LUISS – a Milano e abbiamo fatto una classe di circa 20 persone ed è stato un bel pomeriggio.

L’avvicinarsi alle persone attraverso i robots perché? È una tua esigenza?

“È il mio modo di essere. Sono una persona molto solitaria, timida. Attraverso l’arte mi apro.

Non so se conosci il testo di Quintana – Le farfalle –, è un testo che parla d’amore. Però centra anche con il lavoro e con le relazioni pubbliche o personali.

Lui dice che passiamo il tempo a cercare qualcosa, la nostra metà, il nostro amico, il nostro cliente.

Ma in realtà il segreto non è concentrarti sulle farfalle, ma concentrarti sul tuo giardino affinché siano le farfalle a venire da te.

Ecco io un po’ così ho fatto con i miei robots. Io mi sono concentrato sul fare queste cose così belle ed attrattive e la mia necessità era quella di far entrare il mondo nella mia vita.

Perché io non riuscivo ad entrare nel mondo, allora ho fatto entrare il mondo. È nato così. I robots che sono così empatici, abbattono le barriere e le persone si avvicinano e io volevo quello”.

Nel 2014, per la prima edizione di Altrove (il festival di arte pubblica a Catanzaro), hai realizzato il famoso intervento di land art site specific. I flangiflutti artificiali del porto di Catanzaro Lido si sono trasformati in grossi lego colorati. Ti chiedo da dove è partita l’esigenza di creare un progetto del genere e come è stata accolta dalla cittadinanza?

È stata una pura casualità. Ero stato invitato a coordinare la jam di graffiti di – Altrove – per riunire le crew catanzaresi e calabresi che avevano un po’ vissuto male il lancio del festival.

Non riuscivano a capire perché dovessero arrivare artisti dal resto del mondo e loro non fossero stati attenzionati. Allora io sono stato un intermediario, in qualità di anziano dei graffiti a Catanzaro.

Però volevo lasciare un’opera in quell’occasione. E chiesi ai ragazzi di – Altrove – di poter intervenire sui massi, perché fra i vari luoghi della città, lì mi ero ispirato. A differenza di tutti gli altri artisti a cui – era stato dato un muro – io ho detto – intervengo se faccio quello –.

Tra l’altro poche settimane dopo che io completai l’opera, Mendini inaugurava il lungomare e trovava continuità l’opera con i mosaici multicolor presenti.

E lui si è espresso in maniera molto positiva sull’opera, perché sembrava un completamento del suo lavoro.

L’opera è stata accolta dai cittadini in maniera discordante. Penso come tutte le cose che funzionano. Perché quando una cosa lascia indifferente, per quanto possa essere bella, non va bene, passa.

Non è la bellezza ad alzare l’attenzione, ci vuole qualcosa in più. E quell’opera aveva tanti elementi, la semplicità, il luogo, il colpo d’occhio che creava, i colori accesi. Ho delle foto di persone che hanno deciso di sposarsi lì. È stata una cartolina per la città.

E adesso che nel corso del tempo quell’opera è svanita, la consideri estemporanea o avresti intenzione di farne un restyling?

Sarebbe bello. Ma sarebbe compito di chi ha organizzato o ancor più di chi amministra la città. La foto di quell’opera ha fatto il giro del mondo ed è stata copertina per Catanzaro.

In molti mi hanno chiesto di rifarlo. Sarebbe bello che l’amministrazione ci credesse un po’, avrebbe senso. Visto il risultato ottenuto da quell’intervento nella nostra località marittima io credo che un piccolo investimento avrebbe una conversione in immagine, soprattutto in questo momento dei social, fortissima.

Tutti siamo possessori di un canale social, tutti possiamo geolocalizzare una località e renderla virale. Mi riferisco all’– Arco Magno – di San Nicola Arcella, mi riferisco al – Musaba – e ad altre –n – località calabresi che, grazie ai social e alla produzione spontanea di contenuti degli utenti hanno creato indotto turistico. E perché a Catanzaro non si può fare?!”.

Oltre che per i robots, un’affinità anche per i giochi, in particolare per i palloni ed in particolare per il “Super Santos”.

Hai deciso infatti di dedicare alla palla arancione e a bande nere, un’opera in stampa litografica e modificata con smalti industriali. Come ti è venuto in mente?

“Ho realizzato questo soggetto in tutte le maniere. In opera unica prima di tutto. E queste opere uniche poi sono state trasformate in litografie numerate.

Alcune modificate a mano, strappate, décollage ecc. Ho lavorato tanto su questo soggetto.

Ero in viaggio da Torino verso Catanzaro ed ero in auto da solo. Quando sono da solo, mentre guido, mentre corro, raccolgo le idee che poi si trasformano in lavori.

E ricordo che ero a Genova e ho avuto una visione. Ho avuto l’immagine del – Super Santos – come ricordo d’infanzia e l’avevo messo in comunione alla – Campbell’s – di Andy Warhol.

Mi son detto – questo potrebbe essere la mia – Campbell’s – e così è stato. E arrivato in Calabria ho avuto proprio la pulsione creativa. Dovevo farlo! In quel momento!

Arrivai la mattina ed il pomeriggio lo dipinsi. Avevo trovato una carta da imballo di grosso formato bianca, l’ho attaccata ed è nato il primo.

Ha fatto veramente il giro delle case di tutti gli italiani. Gente che se l’è tatuato. Tanti artisti hanno prodotto un’icona del – Super Santos –, ma la mia è diventata un simbolo.

È stata plagiata con tutte le colature. C’è chi se l’è stampato e ne ha fatto magliette, l’ho trovato in b&b, ovunque. Anche a Cosenza i più vicini hanno plagiato il simbolo per linee di abbigliamento.

I pro e i contro di quando le cose hanno successo e non c’è rispetto dei diritti d’autore.

I pro e i contro di quando le cose funzionano. Perché poi quando rendi le cose molto semplici, il rischio è quello. Però la maniera in cui ho raggiunto quella semplicità, è stato invece un percorso molto lungo, perché è una sintesi su cui io ho lavorato”.

Quest’anno, nell’aprile 2019 sei rientrato nella tua Calabria ed hai realizzato a Cinquefrondi (RC), un’opera d’arte pubblica su di una vecchia chiesetta sconsacrata come dicevi ad inizio intervista. “5 Torri di Pace”, il titolo dell’opera. Cosa mi dici a riguardo?

L’ispirazione nasce dalla – Cappella del Barolo – che è una piccola cappella sconsacrata che si trova nelle Langhe. In una cantina vinicola, dove il proprietario pensò addirittura già negli anni Novanta che vino e arte dovessero viaggiare insieme e quindi invitò questo artista e la fece dipingere tutta.

Quando fui invitato dal sindaco di Cinquefrondi a fare un sopralluogo per la realizzazione di una parete, io vidi questa piccola Cappella e pensai subito alla – Cappella del Barolo – e dissi – vorrei regalare alla Piana una cappella multicolor, la mia –.

E ci sono riuscito. È stato estremamente complesso. Anche in termini economici, per mettere insieme tutti gli strumenti e rendere fattibile il progetto. Però ci siamo riusciti ed ora è una nuova attrazione turistica che si aggiunge alle altre della Piana.

Se si passa dalla zona di Polistena, Taurianova e Cinquefrondi non puoi non andare a visitarla perché ne vale la pena. È un unicum come colpo d’occhio, è  spettacolare vedere un’intera struttura colorata.

Altre le occasioni per rientrare in Calabria e per realizzare le tue opere “super” richieste: dalla tua installazione di “Giovannone”, a quella “partecipata” al Materia Indipendent Design Festival. Com’è ogni volta ritornare nella tua terra ed elaborare opere personali, che poi diventano condivisibili dai tuoi conterranei? Che emozioni provi?

Vorrei soffermarmi su – Giovannone –. A inizio intervista ti ho parlato dei miei robots come arredo urbano nel quartiere di Dubai. Sono stato a Jumeirah, zona marittima.

– Giovannone – è situato invece a Catanzaro. Alle terrazze del San Giovanni. Ma provo tatnta tristezza e delusione.

Perché sono andato così lontano, sono stato così tanto gratificato, lontano, e poi, a titolo gratuito, nella mia città offro una mia opera, la rendo fruibile e se tu vai a vedere oggi – Giovannone – può essere scambiato per un rottame di ferro abbandonato.

E questo mi riempie il cuore di profonda tristezza. Un’opera d’arte di un valore economico importante totalmente abbandonato.

Non è illuminato. Si è dissaldata dalla piastra su cui si poggiava. Non c’è cura. È stata vandalizzata. Nessuno ne ha parlato del fatto che è stata vandalizzata.

Hanno fatto lavori di ristrutturazione, hanno spostato l’opera e poi l’hanno ricollocata in maniera non dignitosa.

Per cui sono molto deluso. Quell’opera lì a Dubai o in un’altra capitale del mondo sarebbe stata protetta probabilmente 24 h su 24. E qui, a titolo gratuito, nella mia città, abbandonata! E questo è brutto!

Sono tutti bravi ad essere presenti nel giorno dell’inaugurazione, a stringerti la mano, a farti i complimenti, a farsi le foto per la pubblicità.

Però poi tutto finito. Turisti austriaci a Catanzaro non riuscivano a trovare l’opera di – Giovannone – e ho dovuto guidarli io, imbarazzante!

Se continuiamo così non ci rimane che il mare e la cultura. Ma se vogliamo fare cultura cerchiamo di farla bene.

Passando invece alla fase di creazione artistica, so che sei dedito anche all’ascolto della musica. Anche adesso in sottofondo alla nostra intervista c’è del fado. Ascolti di tutto appunto, ho scoperto anche Madeleine Peyroux. Innanzitutto, ti faccio i complimenti per i tuoi gusti musicali. E poi volevo chiederti, come si sposano la musica e la tua arte? Cosa influisce su cosa? E quali le altre fonti di ispirazione? 

“Grazie. Ascolto di tutto. Tendenzialmente mi piace la musica dolce. Mi piace il jazz in tutte le sue sfumature e derivati.

È come se la musica fosse un accessorio imprescindibile, nel momento in cui entro in laboratorio, o ho un incontro o sono a casa, la musica ci deve sempre essere.

E poi ogni qualvolta faccio un viaggio scopro qualcosa e me lo porto dietro. Adesso stiamo ascoltando il fado di Lisbona. E sono molto legato alla musica gitana, alla Andalusia.

E la musica modifica il processo di ispirazione e di creazione nel momento in cui lavoro, perché rivivo momenti. Tempo fa avevo realizzato questa ballerina siciliana ed ero fresco di ritorno da una residenza in Sicilia, per cui sì, musica e viaggi influiscono il mio lavoro”.

Sei anche Docente presso lo IED di Torino. Com’è il tuo approccio di formatore? E quale il messaggio principale che vuoi trasmettere ai tuoi allievi?

“Insegno dal 2008. Avevo terminato gli studi da quattro anni, per cui ero giovanissimo ed era molto complesso ritrovarsi ad insegnare a coetanei.

Però oggi ho una differenza di età che mi porta ad essere visto come il docente.

Il messaggio che voglio lasciare ai miei allievi è la condivisione della mia passione.

Io entro in aula ogni volta pieno di entusiasmo. Io sto andando a raccontare non quello che so, ma quello che vivo, quello che conosco. Lo faccio con questo tipo di energia.

E come dico sempre, l’insegnamento è la cosa che mi ha insegnato di più. Stare da quella parte, confrontarsi ed entrare in contatto con ragazzi che arrivano da tutto il mondo dà un ritorno incredibile. Ricordo un anno in cui ogni classe aveva dalle 20 alle 30 persone.

E io incontravo lì tutto il mondo in un giorno: indiani, pakistani, cinesi, coreani, americani, argentini, brasiliani, francesi ecc. Era bellissimo e lì impari tanto e ti diverti pure”.

Più impari o più insegni?

“Bella questa. Dipende dalle classi. Ci sono ragazzi non molto partecipativi, ma ci sono classi che ti restituiscono tanto e torni a casa arricchito”.

Ultima domanda, Massimo Sirelli non solo artista e docente e ho scoperto uno sportivo, ma anche persona attiva nel mondo del Sociale. Oltre ad “AIRC”, cosa mi dici a proposito della Onlus “Insuperabili” e del progetto “InsuperArt”?

“L’altro ieri ho partecipato ad una asta di beneficienza per Telethon, ho donato una mia opera, quindi sì il sociale è sempre presente.

La beneficienza è nata per caso. È stata una maniera per restituire. Ricevo tanto. In qualche modo dovevo restituire.

Non avendo tempo di dedicarmi agli altri, forse per egoismo, o per il lavoro, in questo modo mi sento più a mio agio con la mia coscienza. Quindi quando posso e ci sono occasioni mi concedo tanto.

Con – Insuperabili – c’è una collaborazione continua. Il loro shop si fregia dei miei artworks, delle mie tazze, le mie t-shirt, le mie felpe con i miei disegni. La collaborazione continuerà nel 2020.

Abbiamo fatto stampe ad edizione limitata. È uno strumento per dare visibilità a loro e cassa, che poi permette di aprire a loro, gli – Insuperabili – nuove academy. – Gli Insuperabili – è una onlus che permette di dare il calcio a chi il calcio non lo può praticare. Quindi a bambini con disabilità motorie e psichiche, messi insieme in un campionato parallelo. Sono partiti da Torino. Sono presenti in tutta Italia e da settembre hanno creato un’academy a Catanzaro. Quindi una bella novità perché finalmente i ragazzi disabili di Catanzaro possono giocare a pallone”.

Io le domande le avrei finite. Hai qualcosa da aggiungere? Qualcosa che vorresti dire?

“Questa sarebbe l’ultima intervista dell’anno. Per cui vorrei augurare un buon anno a tutti e che sia una nuova decade esplosiva. Il fatto che inizi un 2020 mi entusiasma un sacco”.