Cosa hanno in comune il disprezzo per la propria cultura e il ricercato gambero viola di Cariati? Sebbene sembrino due elementi molto distanti tra loro c’è chi in questi giorni è riuscito a creare un parallelo quantomeno culturale.
Il termine oicofobia è stato coniato dal filosofo Roger Scruton nel 2004 e significa “l’esigenza di denigrare i costumi, la cultura e le istituzioni che sono identificabili come nostri”.
Non è un sentimento moderno: anche Platone ne ha parlato ai tempi della sua Repubblica. Nonostante Scruton si riferisse alla società inglese del secondo dopoguerra, l’oicofobia appartiene a tante culture occidentali.
Non deve stupire quindi se anche i calabresi soffrano di questa “patologia”. Infatti, spesso si denigra la nostra cultura, le nostre usanze; capita spesso di non conoscere tanti elementi storici della Calabria. Ignoriamo ciò che magari è noto a persone di altre culture e regioni, ma nello stesso tempo noi abbracciamo altre culture temendo però anche che queste possano modificare la nostra.
Si è parlato di oicofobia di recente grazie alla Mostra di dieci dipinti esposti al Concio Amarelli di Rossano (CS).
L’esposizione visitabile fino al 12 agosto raccoglie i quadri dell’artista Santiago Ydáñez ed è curata da Maria Jesùs Martinez Silvente, docente di arte e vice rettore aggiunto dell’Università di Malaga.
Le dieci opere sono state realizzate sul posto usando la liquirizia come pigmento e riguardano la Calabria insesplorata. I quadri raccontano ciò che l’artista ha colto di questa regione attraverso la sua sensibilità e cultura, contro il sentimento dell’oicofobia.
Uno di questi quadri è dedicato al gambero viola che diventa il simbolo dell’evento culturale internazionale “Oicofobia”; un’iniziativa organizzata dall’associazione europea Otto Torri sullo Jonio in occasione del suo venticinquesimo anniversario.
Il gambero viola icona contro l’oicofobia, emblema di una società che non riconosce i proprio tesori
Ci capita spesso di trovare nei menu dei nostri ristoranti gamberi di provenenza esotica, ma anche un salmone di dubbia qualità. Ciò che succede è di adattare nel nostro territorio ingredienti non locali senza proporre la bontà dei prodotti calabresi.
Il gambero viola di Cariati rappresenta qualla parte di “calabresità” che non si piega alle logiche del mercato e che orgogliosamente non abbandona il suo territorio.
L’artista Santiago Ydáñez rappresenta il gambero viola di Cariati come “gigante, lucido, potente. Muscoloso, quasi antropomorfo. Il gambero viola diventa icona di una sfida con se stessi e con la natura che ci circonda. Come il Moby Dick di Melville, il Gambero Viola di Ydáñez è simbolo di ricchezza e benessere. Ma a differenza del Capitano Achab, il calabrese non lo insegue senza sosta. Non è pronto ad attraversare i sette mari ed a doppiare Capo Horn. Preferisce abbandonare il Pequod sulla riva e montare su un espresso notturno per raggiungere le grandi città del nord-Italia e poi del nord Europa. Con le sue grandi e succulente antenne, Ydáñez ci invita a cercare nelle profondità del mare parte della nostra identità. Il Gambero Viola gigante è una sfida a tornare a cercare qui e non altrove le opportunità di crescita economica e sociale per generazioni delegata ad altri.” (Giovanni Donato, presidente di Otto Torri sullo Jonio).
Il gambero viola di Cariati non è molto diffuso come potrebbe essere il più noto gambero rosso. Il motivo risiede soprattutto nel fatto che è difficile catturalo e che vive stanziale nei fondali profondi dell’alto Jonio.
Anche per questo motivo il costo del gambero viola di Cariati è molto alto; può arrivare anche a 60 euro al chilo. Si tratta di un gambero molto pregiato la cui carne fresca e delicata è ottima per i piatti crudi.
Un esempio di territorialità, dove l’uomo impara, protegge e rispetta. Poiché il mare è uno dei nostri elementi più importanti, esso ci racconta che siamo parte di un disegno molto più grande.