Edward C. Banfield e il fallimento del Meridione, Le basi morali di una società arretrata
Mi sono sempre chiesta, soprattutto negli ultimi anni, se la cosiddetta “Questione Meridionale” di cui tanto si è parlato nelle varie legislature parlamentari dal 1873 fino ai nostri giorni, si sia mai concretamente risolta. Con tale espressione si intendeva definire la situazione di persistente arretratezza culturale, umana ed economica del Sud Italia nel periodo post unitario.
Meridionalisti eccellenti condussero studi superbi, ipotizzarono cause e proposero soluzioni politiche ed economiche. Ora, mi chiedo, alla luce delle mie competenze relative a qualche lettura specifica e sporadica, come mai, nonostante gli interventi massicci dello Stato nazionale prima e della Comunità Europea dopo, nei tempi moderni, il Meridione non sia mai decollato né dal punto di vista economico né da quello culturale e sociale.
Mi pongo queste domande come tanti penso e, dati alla mano, ricorro letture che ho fatto soprattutto quelle relativi al Meridione ed alla Questione Meridionale. Tra i vari Meridionalisti che ho incontrato nel mio girovagare letterario, ho trovato attuale un politologo americano, Edward C. Banfield. Lo studioso che, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, trascorse un anno della sua vita a Montegrano, un paesino rurale situato nel cuore della Basilicata, studiò attentamente, anzi oserei dire scientificamente, la vita della piccola comunità contadina. L’opera sociologica che venne fuori da tale soggiorno si intitola “Le basi morali di una società arretrata”. Banfield affermava che alla base del mancato sviluppo del Meridione c’era “l’innata incapacità di associarsi dei cittadini per il perseguimento del “bene comune”.
L’ unica forma di associazionismo che il contesto accettava e riconosceva era quello della famiglia nucleare, l’unico bene che veniva perseguito era quello del proprio io e dei propri consanguinei. Ora, io non sono una sociologa e neppure una storica e nel mio peregrinare tra il Nord ed il Sud del Paese ho avuto modo di constatare che effettivamente dal punto di vista sociale ed economico il divario tra le due porzioni di territorio è abissale. Ho visto cittadine operose, propositive e proiettate verso il futuro; ne ho viste altre ferme, statiche e retoriche.
Ora, non può non esserci una base culturale o sub culturale tale da poter giustificare questo stato di cose. Il rifiutare categoricamente il cambiamento, il cercare di raggirare le istituzioni, il cercare di far rientrare tutto nella propria sfera subculturale ha delle basi antiche e ancestrali che si tramandano di padre in figlio e di generazione in generazione. Non può il Sud affrancarsi dalla povertà se non si affranca da queste radici profonde. In questi tipi di contesti non può passare nessun tipo di messaggio innovativo perché quest’ultimo viene distorto dalla propria visione della realtà.
Titanici sono gli sforzi della buona politica regionale e nazionale ma spesso queste innovazioni e buone pratiche non vengono percepite come tali. Diventa poi, inevitabile scegliere di lasciare il proprio paese per ragioni di lavoro e diventa quindi, inevitabile non conoscere altre realtà e non fare un confronto. L’associazionismo imprenditoriale, le buone pratiche economiche che consistono in un’equa distribuzione dei beni e delle risorse, sono concetti sconosciuti nel nostro mondo lavorativo. L’organizzazione dei beni e dei servizi sono perseguiti non in vista di un interesse personale o hobbista ma, in vista della realizzazione di un bene comune.
L’organizzazione dei beni e dei servizi si presenta diversa nelle due parti del nostro paese, perché diverse sono le basi culturali che muovono le persone. Ora, questo tipo di analisi che io ho abbozzato in maniera grezza è in realtà, un’analisi che probabilmente viene continuamente corroborata negli ambiti accademici, politici ed economici. È assiologico, comunque, che ad una tesi corrisponda sempre un’ipotesi ma a mio avviso, nessuna ipotesi che sia politica o economica, può far breccia nei nostri contesti in quanto alla base vi è un persistente rifiuto del nuovo, del cambiamento e dell’innovazione. Il cambiamento infatti, comporta l’infrangere regole ataviche ed ancestrali e come diceva Edward C. Banfield, “infrangere queste regole significa infrangere l’ordine costituito”.
Graziella Tedesco