Il 4 agosto 1935, Cesare Pavese vide il confine a Brancaleone (Reggio Calabria). Famosa è la lettera indirizzata ad Augusto Monti «Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo “dando volta”, leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un’inutile castità».
A ottobre, infatti, aveva incominciato a tenere quello che nella lettera al Lajolo definisce lo “zibaldone”, cioè un diario che diventerà in seguito Il mestiere di vivere. Facendo domanda di grazia, con la quale ottenne il condono di due anni.
A maggio del 1935 lo scrittore Cesare Pavese, in seguito ad altri arresti di intellettuali di “Giustizia e Libertà “, venne sospettato di frequentare il gruppo a contatto con Leone Ginzburg, e gli venne trovata una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici nel carcere romano. Accusato di antifascismo, venne confinato in Calabria.
La tutela della memoria della pro loco
La casa dove visse lo scrittore è ancora intatta. La Pro Loco di Brancaleone oggi consente di effettuare visite guidate di gruppo su prenotazione. “Il percorso Pavesiano” si snoda in pieno centro città, in un crescendo di emozioni che catapulteranno il visitatore nelle atmosfere anni ’30 di Brancaleone oggi una cittadina moderna e dotata di servizi e svago. (pro loco Brancaleone)
Un documentario racconta il confino.
Un esilio il cui travaglio è descritto nel romanzo “Il carcere” scritto tra il 1938 e il 1939. Il protagonista, Stefano è il suo alter ego e racconta la sua prigione fatta di mare e di gelsomini.
La Concia
Cesare Pavese conobbe Concetta Delfino, detta “Concia”, all’epoca solo quattordicenne. Ella fu grande e discreta musa ispiratrice dello scrittore torinese. In paese lo ricordano come “U professuri” che leggeva il giornale al Bar Roma, vicino alla sua casa con avanti i binari ed il mare con la sua costa dei gelsomini, che riceveva pacchi di libri dal Nord, che dava lezioni di latino. Un uomo di cultura, giunto in stato di arresto in punta allo stivale, reietto dal regime perché intellettuale libero, cui l’amministrazione di Brancaleone dedica spesso iniziative e incontri ed intitola la sua Biblioteca comunale. (strill.it)
Dell’esilio e della vita passata a Brancaleone Calabro se ne parla ne ‘’Il mestiere di Vivere’’.
La delusione e il suicidio
Al rientro nel 1936, la forte delusione sentimentale causata dal matrimonio di Tina Pizzardo per proteggere la quale era stato esiliato in Calabria; delusione che non sarebbe stata l’ultima. Quindi la ripresa della collaborazione con Einaudi di cui diventerà, di fatto e poi formalmente, direttore editoriale. Da allora proseguì intensamente la sua carriera di traduttore e scrittore, consacrandosi per il suo stile essenziale ma poetico. Nel dopoguerra si iscrive al partito Comunista e, collaborando presso la redazione de “L’unità”, conosce Italo Calvino. Nonostante i riconoscimenti e le pubblicazioni, non si placano la sua inquietudine e il suo disagio esistenziale. Si suicida in una camera dell’albergo “Roma” di Torino il 27 agosto del 1950. (strill.it)
Annamaria Gnisci