La riflessione domenicale del Presidente della CEC, Mons. Vincenzo Bertolone
«Non è con l’intelligenza che Lo si capisce, ma è la vita che Lo fa comprendere».
In tempi di coronavirus è tornato a risuonare l’interrogativo che da sempre accompagna le grandi tragedie umane: dov’è Dio? E se c’è, perché lascia che tanto male si compia? Le parole prese a prestito dallo scrittore Lev Tolstoj aiutano a dare una risposta che profumi di Vangelo e non si allontani dalla sana e seria logica.
La presunta assenza di Dio, al solito, viene lamentata quando gli orrori, umani o naturali (ammesso che le due categorie siano autonome e di genere diverso), seminano dolore, sofferenze e morte. La reazione degli uomini, fiaccati dalla debolezza e dal senso di impotenza, è sempre la stessa: per loro Dio è quasi la vittima sacrificale sulla quale riversare, con presunzione adamitica, ogni responsabilità. Un alibi perfetto, per ricominciare come prima, come se nulla fosse. Lo stesso vale per la Chiesa, in tempi di pandemia accusata di aver sbarrato le porte delle chiese, di aver dimenticato la cura delle anime, di essersi ritirata a difendere beni e ricchezze.
In realtà, guardando alla realtà seguendo il consiglio di Tolstoj, è facile accorgersi di come Dio ci sia, più che mai in queste settimane difficili. Gesù, infatti, non è venuto a spiegarci la sofferenza: si è fatto sofferenza, caricandosi del peccato dell’uomo. È presente anche nel servizio eroico dei medici, degli infermieri che s’ammalano come gli uomini e le donne che non rinunciano a curare, fino a mettere a repentaglio la propria vita. C’è Dio, nei volti delle donne e degli uomini che si donano per gli altri, e con lui c’è la Chiesa: i lutti nel mondo ecclesiastico sono molti di più delle cifre ufficiali, perché il computo non comprende missionari, religiosi e suore (come i Saveriani di Parma, decimati dal virus), non direttamente collegati con la Chiesa, bensì coi rispettivi ordini e congregazioni, ma il coronavirus è stato comunque letale per 69 sacerdoti, 22 dei quali solo nella diocesi di Bergamo. Ma lacrime si piangono anche a Lodi, Milano, Cremona, Mantova, Parma, Pesaro, La Spezia, Nuoro, Salerno. La maggior parte di loro è morta sul campo. Papa Francesco li ha ricordati, insieme a medici e infermieri che hanno perso la vita «perché erano al servizio degli ammalati». Come il bergamasco don Giuseppe Berardelli, ricoverato in ospedale, a 72 anni ha rinunciato al respiratore regalatogli dai suoi parrocchiani, per darlo ad uno sconosciuto paziente più giovane di lui, che così si è salvato.
Insomma, Dio c’è. Permettiamogli di parlare a noi che, solitari, abbiamo preferito e preferiamo la nostra solidarietà alla Sua, la nostra solitudine alla Sua compagnia. Solo che, per avvertire la sua presenza invisibile e silenziosa, occorre riacquisire gli occhi della fede, della speranza, della prossimità. L’egoismo non può funzionare come bussola di una civiltà. Impariamo la compassione, la condivisione della sofferenza. Vale – ed è bene ricordarlo – quel che osservava millenni fa Aristotele: «Non si può essere felici da soli».