La memoria delle calabrotte e delle ultime protagoniste del mondo contadino sono attualmente oggetto di interesse da parte della stampa e del mondo dei social che virtualmente ha riportato alla luce uno spaccato della nostra storia. Un’emigrazione invisibile e silenziosa, sopportata con pazienza e dignità, ma della quale si parlava poco e malvolentieri. E ancora oggi è un argomento poco trattato.
La fiction televisiva di Rai 1 “La sposa” sta riscuotendo un grande successo presso il grande pubblico. Un boom di ascolti che ha fatto riemergere un ritratto storico legato ai matrimoni per procura contratti più di mezzo secolo fa con uomini del nord, attraverso i famosi bacialé, ruffiani che combinavano questi matrimoni con le calabrotte. Ma se i dati di ascolto confortano, non sono certo mancate le polemiche prima legate allo stereotipo del ruolo della donna calabrese nella società, poi all’immagine del veneto retrogrado. Inoltre, un’ulteriore polemica si è scatenata nei social sostenendo che la fiction sarebbe un plagio poiché si ispira in maniera fin troppo evidente a un libro uscito nel 2015.
Storie di sacrifici, solitudine ma anche tanta voglia di riscatto
Se il mondo dell’arte si è interessato alle storie di emigrazione e di matrimoni di interesse è perché la sua fonte principale è quasi sempre la realtà. Attraverso l’arte la memoria non si perde.
Il fenomeno delle calabrotte è una pagina della storia del nostro meridione che racconta di vite segnate dai sacrifici, ma anche dell’orgoglio di una parte di gente consapevole che quei sacrifici non sono vani.
In pieno boom economico, negli anni cinquanta e sessanta, le campagne del nord si svuotano: le ragazze dei paesi piemontesi preferiscono lavorare nelle fabbriche e si fidanzano con operai, rifiutando i ragazzi contadini. Nei campi delle regioni del nord incomincia a mancare la manovalanza e il rischio di cadere in povertà è imminente. Ecco che la fame e le ristrettezze economiche uniscono i destini e le disgrazie del nord con quelli del sud.
Gli uomini del nord iniziano a sposare per procura le ragazze del sud, giovani e forti, povere, ma senza grilli per la testa, al contrario delle ragazze settentrionali affascinate dall’indipendenza economica. Sono gli anni delle contestazioni studentesche, del femminismo e della parità di genere. Il ruolo di queste giovani donne meridionali è stato quindi determinate per salvare le langhe piemontesi sia da un punto di vista demografico che da quello economico. Una parte dell’Italia, quella delle langhe, che grazie ai suoi prodotti oggi è conosciuta in tutto il mondo, come brand Made in Italy.
Nel cuore di Badolato un’effige ricorda le calabrotte
Nel borgo di Badolato esiste un’effige dedicata proprio alle donne calabresi che si sposavano con uomini, anche sconosciuti e del nord Italia, capaci di offrire una sicurezza economica alle famiglie rimaste in Calabria. A bilanciare l’ago, la donna, giovane e resistente a qualsiasi tipo di lavoro, garantiva allo sposo prole e anche aiuti nei campi e nelle attività domestiche. Non erano sicuramente matrimoni felici, ma le difficoltà oltrepassavano le mura domestiche poiché le calabrotte dovevano affrontare la diffidenza della gente locale ed episodi di razzismo. Tutto ciò lontane dalla proprio terra, dalle origini e dagli affetti.
L’opera di Badolato è stata realizzata nel gennaio 2021 dallo scultore Gianni Verdiglione sulla parete esterna dell’abitazione di una di queste ragazze, sita alla Via Regina Margherita di Badolato Superiore.
Questa effige ricorda il matrimonio avvenuto il 25 agosto 1979 tra Luciano Gambaretti, agricoltore veronese, e la badolatese Giuseppina Carnuccio. “Vinna nu bellu giuvanottu da campagna ‘e Verona e sa levàu” ovvero “È venuto un bel giovanotto della campagna di Verona, l’ha sposata e se l’è portata via”.
Tale dedica è una delle tante effigi che l’artista ha creato nelle viuzze del borgo antico, famoso anche per l’accoglienza di quasi novecento profughi curdi sopravvissuti sulla nave Ararat, nel dicembre 1997. Badolato Superiore è anche noto alle cronache durante gli anni 80/90 per essere il comune in vendita. Attualmente è abitato anche da inglesi, tedeschi e vari artisti, grazie anche alla vicinanza dal mare e a una natura bellissima. Dalle sue terrazze infatti si gode un panorama mozzafiato e tante abitazioni sono state totalmente ristrutturate.
Le pagine della letteratura e l’emigrazione
Il tema dell’emigrazione è stato largamente adottato per libri, film e canzoni.
Molto coinvolgente e bellissimo è il libro “Il treno del sole” di René Reggiani (Garzanti Editore – 1966) dove si racconta la storia di una famiglia meridionale costretta a trasferirsi a nord. Le vicende narrano di integrazione, pregiudizi e nostalgia, ma anche la forza e la caparbietà di una ragazzina emigrata in una fredda città del nord.
Nel 2018, le contadine e la loro centralità nel mondo rurale sono state raccontate da Nuto Revelli in un libro dal titolo “L’anello forte” (Einaudi Editore). L’autore ha effettuato una lunga ricerca e un minuziosa ricerca durata otto anni.
“Ti ho vista che ridevi” al centro di una polemica
Ma la polemica relativa al presunto plagio, del libro sopracitato, riguarda il romanzo scritto nel 2015 dal collettivo Lou Palanca.
La famosa casa editrice calabrese Rubbettino editore stampa il libro del collettivo “Ti ho visto che ridevi” che riscuote un grande successo.
I punti in comune con la storia raccontata nella fiction RAI “La Sposa” sono veramente tanti. Nel libro si narra di una giovane donna di Riace che sposa un agricoltore delle Langhe piemontesi. La giovane Dora, questo è il nome della calabrotta, è costretta a lasciare il proprio paese, ma anche un figlio che non doveva nascere. Un bambino che cresce grazie alle cure della sorella e che è all’oscuro della storia della vera madre. La figura di Dora non è pervasa dal vittimismo. Al contrario, questa ragazza si dimostra forte e intelligente, appassionata alle lotte contadine degli anni ’60 durante le quali resta incinta. Luigi, il figlio di Dora, ormai adulto, ricerca la sua drammatica storia, tracciandone i tasselli.
Il libro è una galleria di personaggi che vivono in piani differenti la solitudine, uno squarcio nel tempo in cui però non c’è spazio per l’autocommiserazione, ma – al contrario – per la realizzazione di un riscatto personale.
La vita delle calabrotte non era affatto facile. Solo raramente riuscivano a essere riconosciute come donne di famiglia, come spose e madri. Il più delle volte la famiglia era governata da suoceri diffidenti.
La musica leggera italiana e il cinema narrano viaggi in cerca di un futuro diverso
Anche il mondo della musica dedica testi all’emigrazione e ai matrimoni combinati.
Una delle canzoni meno note di Claudio Baglioni dal titolo “Cincinnato” (1970) racconta la storia di un ragazzo che decide di lasciare il paese per migliorare la sua esistenza in una grande città.
Più emblematica è la canzone scritta da Bruno Lauzi dal titolo “La donna del Sud” che narra le vicende di una certa Maria, dalle labbra di corallo, “arrivata col treno del sole ma ha portato qualcosa di più. Mai nessuno che l’abbia baciata. A nessuno ha mai detto di sì“.
Un altro cantautore dalla sensibilità estrema è Sergio Endrigo. Nel 1967, in risposta alla canzone di Lauzi, l’artista ha scritto la canzone “Il treno che viene dal sud”.
Il treno che viene dal sud
Non porta soltanto Marie
Con le labbra di corallo
E gli occhi grandi così
Porta gente, gente nata tra gli ulivi
Porta gente che va a scordare il sole
Ma è caldo il pane
Lassù nel nord
Il matrimonio “a distanza” è stato trattato anche al cinema con il famoso film di Luigi Zampa “Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata” (1971), in cui Alberto Sordi e Claudia Cardinale, romano lui calabrese lei, si scambiano una corrispondenza piena di bugie.
Le spose del Sud
La molinese Pontificia Fonderia di Campane Marinelli di Agnone ha intenzione di realizzare una “Campana Spose del Sud”. Questo tributo è a ricordo di tutte quelle ragazze che lasciarono la loro terra per affrontare sacrifici e violenze nel freddo nord della Pianura Padana.
Esiste un’altra iniziativa legata ai matrimoni sensali. L’Università delle Generazioni, all’inizio del 2021, ha reso pubblica una ricerca con documenti e studi sociologici relativi a queste ragazze “vergini e forti, mansuete e grandi lavoratrici”, facendo raccontare dalle stesse interessate le loro storie.
Uno spaccato della nostra storia che è raramente ricordato. Ragazze, a volte analfabete, ma non per questo stupide, che dovevano affrontare una realtà sconosciuta che le rifiutava socialmente. Se è vero che anche le ragazze settentrionali erano costrette a lasciare i loro paesi per recarsi nella grande città, è anche vero che affrontavano difficoltà minori, tipo la lingua e il dialetto non proprio sconosciuti, nonché la vicinanza alle loro case. Per le nostre ragazze calabresi l’impossibilità di riuscire a comunicare deve essere stata un impedimento enorme che non facilitava sicuramente l’inserimento in una società già ostile di suo.
Ancora una volta i calabresi, lontani dalla propria terra, sono riusciti a fare la differenza. Il rammarico è, come sempre, che quelle qualità, quei talenti, non sono stati espressi per far sviluppare la propria terra. Una terra, la Calabria, – occorre ribadirlo – piena di storia di cultura e di risorse. Anche umane.
Per vedere la fiction “La Sposa” clicca qui
Dalla nostra redazione leggi anche “Ti ho visto che ridevi” di Lou Palanca: intervista al Prof. Nicola Fiorita