La riflessione domenicale del presidente della CEC
«Se voglio che la mia vita abbia un senso per me, bisogna che abbia un senso per gli altri».
Lo scrittore Georges Bataille riassume in prosa il messaggio che arriva dalle Sacre Scritture nella Domenica che precede la Pasqua, in cui si ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme, in sella ad un asino e osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma. Quell’accoglienza dice molto anche oggi. In tempi di coronavirus, di ansie e di distanze, quelle palme agitate verso il cielo, in ossequio alla regalità divina che la folla attribuiva al Messia, sono il simbolo di una necessità ben incarnata dal Cristo che pochi giorni dopo avrebbe dato la vita pur di abbracciare l’umanità sofferente ma carnefice, e dimostrano che l’amore è più forte della morte.
È un messaggio fondamentale: nessun uomo è una monade, nessuno è recluso nel carcere dorato di un’anima a sua volta prigioniera di un corpo. Tutti, chi più chi meno, siamo per natura aperti all’altro: il Creato, il prossimo, Dio. È alquanto diffuso, soprattutto ai giorni nostri, il virus dell’autismo spirituale, che nasce dall’egoismo e dalla paura dell’altro e spesso degenera in patologie come il razzismo, l’odio, l’isolamento. Eppure, l’immagine di Gesù a dorso d’asino è segno dell’unico antidoto possibile: l’amore, l’incontro, il dialogo, l’apertura. Bisogna, insomma, che la quotidianità di ciascuno diventi espressione di senso anche per gli altri. In altri termini, testimonianza, e cioè sale, luce, lievito per dare sapore e chiarezza ad un’esistenza che altrimenti sarebbe insipida e grigia.
Anche noi, dobbiamo guardare alla croce per riconoscere il Figlio di Dio, per recuperare la nostra fede affidata agli idoli che riempiono le nostre giornate, pure nel piccolo mondo antico delle nostre quattro mura. Il Dio della croce si presenta come il Dio che scende dal trono e condivide la situazione dell’uomo: si è fatto nostro fratello chiamandoci a farci fratelli gli uni degli altri, per essere in comunione con lui. La via della salvezza, allora, non è la via del disinteresse o della fuga da questo mondo, ma la via in cui si vive la storia per il suo autentico valore: condivisione e solidarietà contro egoismo e individualismo. Il Dio della croce è anche quello che non giudica secondo la giustizia terrena, che non pianifica giustiziando i cattivi: egli aspetta che tutti possano salvarsi e pratica la misericordia, quella che fugge i giudizi affrettati, che è protesa a sollevare gli uomini e si preoccupa della conversione del peccatore, cui offrire il suo perdono e così manifestare il suo amore e la sua potenza salvifica.
Com’è attuale, in questi tempi bui, l’insegnamento che arriva dal Cristo crocifisso. Egli è un compagno di viaggio, e quando si cammina in due la conversazione, lo scambio, gli sguardi diventano carichi di complicità, affettività, tenerezza. E come scriveva il poeta Khalil Gibran, «Dio mi guardi dall’uomo che si proclama fiaccola che illumina il cammino dell’umanità. Ben venga l’uomo che cerca il suo cammino alla luce degli altri».