Per capire l’importanza del gesto di Franca Viola occorre ritornare indietro nel tempo e contestualizzare la sua storia. Non raccontiamo solo una Sicilia dell’entroterra, ma anche un’Italia irrispettosa delle donne, considerate impari all’uomo, alla stregua di un oggetto.
La storia di questa ragazza arrivò a cambiare il codice penale e divenne il simbolo dell’emancipazione femminile nel dopoguerra.
Il coraggio di Franca Viola
È il giorno di Santo Stefano del 1965, Franca Viola è una bellissima ragazza diciassettenne. Vive ad Alcamo insieme alla sua famiglia e ha un fidanzato. Il padre della ragazza decide che sua figlia non sposerà mai quel ragazzo, Filippo Melodia, un picciotto di famiglia benestante e pure mafiosa. Si usava così, era la famiglia che decideva il futuro delle ragazze e Bernardo Viola non vuole un delinquente come marito di sua figlia. Il rifiuto è sicuramente previsto nei codici siciliani, ma è altrettanto certo che la scelta non può passare inosservata.
Essere lasciati da una donna è un affronto troppo grande per il giovane rampante. In una terra dove il disonore e le leggi legate alla morale hanno un valore sociale enorme, non è sopportabile. Così l’ex fidanzato insieme a dodici amici fanno irruzione in casa della ragazza. Dopo avere picchiato brutalmente la mamma di lei, rapiscono il fratellino di Franca di appena 8 anni. Portano ovviamente via con la forza anche la giovane Franca. Il fratellino Mariano verrà rilasciato poco dopo, ma per Franca la segregazione sarà ben più lunga e dolorosa: per dieci lunghissimi giorni, verrà violentata, picchiata e lasciata a digiuno in un casolare di campagna.
Il codice d’onore e la vergogna della violenza carnale
A questo punto, occorre ricordare che nel 1965, secondo una vergognosa legge italiana, se la donna avesse sposato il proprio aguzzino, il reato di violenza carnale sarebbe stato cancellato attraverso il cosiddetto “matrimonio riparatore“. L’onore della famiglia della ragazza era salvo e anche la ragazza avrebbe potuto cancellare la vergogna dello stupro. Ovviamente, il carnefice non sarebbe stato processato né sarebbe stato denunciato.
Dopo avere liberato Franca, i genitori di Melodia si presentano a casa della ragazza per “ottenere” il matrimonio riparatore. Franca Viola e la sua famiglia coraggiosamente si oppongono, affrontando un processo attraverso il quale ottengono giustizia nonostante l’accusa di complicità della “fujitina”. Gli avvocati difensori arrivano a dire che la ragazza non era “illibata” e la reazione degli abitanti del paese è a favore dei Melodia.
Ma i Viola nonostante le avversità da affrontare non si arrendono. Affrontano anche un processo mediatico, tra televisione e giornali. Lo fanno con la semplicità e con naturalezza. Il padre di Franca non parla neanche italiano e lei orgogliosamente afferma: “Io non sono di nessuno. Decido io chi amare.”
La sentenza e l’interesse dei media
L’ex fidanzato e i complici vengono condannati a 11 anni di reclusione. All’uscita del carcere, Melodia viene assassinato.
Franca, nel 1968, sposa Giuseppe Ruisi che le era rimasto accanto per tutta la vicenda giudiziaria. Matrimonio seguito dalla stampa anche perché lei ha voluto indossare l’abito bianco.
Questa ragazza, figlia di coltivatori diretti, in piena riforma agraria e in un’Italia in pieno boom economico, compie un gesto rivoluzionario e di impatto mediatico enorme.
Rappresenta un esempio di coraggio e di emancipazione anche per tutte quelle donne che fino ad allora erano state costrette a vergognarsi per una violenza carnale subita, obbligate a convivere per tutta la vita con un aguzzino.
Improvvisamente, l’Italia si trova davanti a un bivio: tra una questione legislativa e una morale, evidenziando l’ingiustizia di una legge che non prevede l’aspetto emotivo, sentimentale e – in una parola atroce – l’aspetto umano delle donne, rese praticamente inferiori all’uomo.
Lo stupro paradossalmente, è un delitto contro la morale e non contro la persona e ciò comportava una netta riduzione di pena (articolo 519).
Ma se la sentenza da ragione a Franca Viola, per cancellare la legge del matrimonio riparatore bisogna arrivare al 1981.
Infatti, fino al 5 settembre 1981, nel codice penale vigeva un articolo che testualmente riportava: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
Di Franca Viola ancora se ne parla
La vicenda ha pure ispirato un film, “La moglie più bella” di Damiano Damiani del 1970 con una giovanissima Ornella Muti nella parte di Franca Viola.
“Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori”. Così, Franca Viola ha raccontato di quella bruttissima vicenda che però ha portato a eliminare un residuo del Codice Rosso legato all’epoca del fascismo.
Quella legge presupponeva la verginità della donna come un valore assoluto. Era svergognata chi, anche senza consenso, avesse avuto rapporti sessuali con uomini diversi dal marito.
In questa triste storia la figura maschile potrebbe essere minata, invece i ruoli determinanti del padre e del fidanzato (e oggi marito) di Franca Viola rappresentano le vere figure positive. Il padre purtroppo muore qualche anno dopo, proprio il 26 dicembre.
Affrontando usi e costumi atavici, smantellando pregiudizi e ignoranza proprio questi due uomini sono rimasti a fianco di una ragazza che stava scardinando il sistema.
Ma Franca Viola era molto avanti … già cinquantaquattro anni fa.