Il matrimonio è da sempre considerato un evento non solo per gli sposi, ma anche per familiari e amici. Tanti dettagli vengano affidati anche ad agenzie specializzate che hanno il compito di far vivere il cosiddetto giorno più bello della vita come in un sogno. Questo perché, nell’immaginario collettivo, “matrimonio” significa una nuova pagina della vita e soprattutto felicità.
Se oggi è tutto pianificato e celebrato, anche con qualche sfarzo, nel secolo scorso le cose erano decisamente diverse. Soprattutto nel primissimo dopoguerra tante famiglie calabresi e no non vivevano nel lusso e sposarsi era pari a una festa fatta in casa dal sapore essenziale. Non per questo erano giorni necessariamente infelici: c’era chi sognava una famiglia anche nella povertà.
Ecco perché difficilmente gli sposi dell’epoca andavano in alberghi per passare la “prima notte di nozze”; era invece usanza restare letteralmente reclusi in casa per ben 8 giorni dal giorno del matrimonio. Una tradizione che si è persa e che, sotto alcuni punti di vista, è bene che resti solo un ricordo.
Prima settimana dopo la celebrazione del matrimonio: sposi confinati dentro casa
Se oggi, generalmente si resta chiusi a casa – isolati dal mondo – per motivi di salute e magari in quarantena Covid, all’epoca i novelli sposini restavano chiusi in casa per “conoscersi meglio“, al fine di procreare nuovi eredi. Tutto ciò avveniva nei successivi sette giorni dalla data del matrimonio e solo all’ottavo giorno potevano uscire dall’abitazione, ovviamente insieme e con una finalità sociale.
Il giorno del matrimonio, dopo la festa con i parenti e con gli amici, gli sposi si recavano nel loro nido preparato appositamente dalle suocere. Lenzuola, tovaglie e asciugamani di buona fattura arredavano la casa; frutta e cibo vario erano già a disposizione sin dal primo giorno. Se veramente ci fosse stato un motivo urgente per uscire, il compito era affidato allo sposo: la giovane moglie non poteva vedere nessuno tranne le cummari che potevano portare qualcosa all’interno della casa. Le cummari avevano il compito di rifocillare gli sposini con zucchero, altro cibo preparato in casa, tutto ciò che potesse aiutare gli sposi a dedicarsi alle pratiche amorose.
– suocere e cummari
Il mattino seguente al matrimonio, si presentavano a casa loro le due suocere per portare la prima colazione, cioè quella del “buon risveglio”. Ovviamente si trattava di una prima colazione ricca e abbondante che avrebbe aiutato i giovani sposi a riprendersi dalla prima notte di nozze. In realtà, c’era anche un motivo meno nobile: le suocere volevano e accertarsi che tutto fosse andato bene, cioè che il matrimonio si fosse consumato.
Al mattino dell’ottavo giorno, lo sposo indossava l’abito del matrimonio, ma con una cravatta diversa; la sposina invece indossava il cosiddetto abito dell’ottavu jornu: un vestito elegante – composto da una gonna e una giacca – e preparato appositamente per quel giorno. La prima uscita ufficiale degli sposi era dedicata alla celebrazione della Messa. La Chiesa era generalmente quella in cui si era celebrato il loro matrimonio e simbolicamente significava il rientro in società, ma non più come celibe e nubile, bensì come coppia e nuova famiglia.
Il pranzo luculliano della domenica si faceva dai genitori mentre il pomeriggio era dedicato alla visita presso i cummari e cumpari che accoglievano gli sposi predisponendo una ricca merenda.
Cambiano i tempi, cambiano i riti
Certo, oggi sarebbe anacronistico mantenere queste usanze, ma all’epoca era una regola abbastanza comune. Non sappiamo quanti matrimoni fossero realmente felici, visti anche i contributi dei sensali, possiamo però dire che il ruolo della donna è cambiato e si è evoluto. Le lenzuola macchiate di sangue sono per fortuna solo un ricordo lontano.
Annamaria Gnisci ha anche pubblicato: Calabrotte e sensali matrimoniali, il mondo dell’arte racconta storie di sopravvivenza