Secondo l’antropologo calabrese Luigi Maria Lombardi Satriani, la festa di Halloween, celebrazione dei morti, ha origini italiane legate al sud e addirittura alla Calabria.
Gli studi di Satriani sono riportati in un volume scritto insieme a Mariano Meligrana negli anni Novanta, dal titolo Il ponte di San Giacomo.
Si descrivono storie di contadini calabresi che usavano festeggiare la notte della vigilia di Ognissanti con una lanterna ricavata da una zucca svuotata, e una candela accesa all’interno. La tradizione era legata alla paura della morte dei propri cari e al superamento del distacco. Nei secoli passati, i bambini giravano con le lanterne, casa per casa, chiedendo che gli spiriti non venissero a tormentarli.
Questa tradizione della zucca vuota e intagliata è provata dall’usanza del Coccalu di muortu di Serra San Bruno, in provincia di Vibo. Ancora oggi, i ragazzini intagliano la zucca a mo’ di teschio e la portano in giro per il paese. In gruppetti, bussano alle porte delle abitazioni o per strada chiedono alle persone: “Mi pagate il coccalu?“. Questa scena ricorda molto il trick or treat ovvero dolcetto o scherzetto della tradizione di nord americana di Halloween.
Le origini della festa di Halloween
Ancora più anticamente, intorno all’anno 830, la fine dell’anno cadeva proprio il 31 ottobre attuale. Papa Gregorio II cercò di spostare la festa di Tutti i Santi dal 13 maggio al 1^ novembre al fine di abbandonare le tradizioni pagane celtiche.
Il primo giorno di novembre corrispondeva all’inizio dell’inverno in cui la notte era più lunga.
All’epoca si credeva che le tenebre chiamassero gli spiriti per permettere loro di vagare tra i due mondi.
L’intenzione di sradicare le pratiche profane non andò in porto, infatti nel secolo X, la Chiesa dichiarò che la Festa dei Morti venisse celebrata il 2 novembre, tollerando – di fatto – gli usi antichi.
In questo modo, gli abitanti continuarono a mantenere le tradizioni pagane festeggiando con la preparazione dei cibi, con il travestimento e con i falò.
Le tradizioni in Calabria
Nei secoli scorsi, in Calabria, venivano fatte delle processioni verso i cimiteri e si apparecchiavano pranzi proprio sulle tombe dei defunti. Questa tradizione era di origine arberesh. Ai bambini venivano regalate delle calze con dentro dolci. Le pietanze del periodo sono ancora oggi lagana e ceci e i dolci preparati con pasta di mandorle e dalla forma allungata, simile a dita.
I dolci legati alla tradizione di Halloween
I dolci dei morti hanno tre significati: i doni per i morti, un momento conviviale tra i vivi ed esorcizzare la paura della morte.
le Dita degli Apostoli (tipici nella zona di Reggio Calabria), le Fave dei morti e il Grano dei Morti sono le preparazioni di questo periodo.
Tutti i dolci vengono preparati la sera della vigilia dei morti e lasciati sul tavolo della sala da pranzo cosi le anime in visita durante la notte si possono cibare.
Sia le Dita degli Apostoli sia le fave sono dei biscotti che hanno preso i nomi dalle loro forme.
Le Dita degli Apostoli sono delle crepes guarnite con crema, marmellata o cioccolata.
Le fave dei morti è invece il piatto principale nei banchetti funebri. La credenza dice che le fave contengano le anime dei morti. Le radici della pianta sono molto lunghe, perciò possono raggiungere il mondo dell’aldilà e arrivare a quello dei vivi.
Infatti, il fiore della fava è bianco e viola e ha una macchia nera che ricorda la lettera greca theta, iniziale della parola thànatos, ovvero morte.
Il grano dei morti si prepara con i chicchi di grano tenero, bolliti e conditi con mosto cotto, cioccolato, canditi e noci. Il grano ha un alto valore simbolico che lo mette in relazione con la vita e la morte.
Significa vita e fertilità in tante culture.
Il chicco diventa spiga sottoterra. La spiga dovrà essere rotta per raccogliere il chicco.
Questa circolarità tra vita e morte ha una relazione forte tra i due significati. Inoltre, mangiare del grano è di buon auspicio per garantirsi una lunga vita.
Almeno così ci dice la tradizione che non prevede il travestimento, ma una festa dal forte significato antropologico. E i calabresi, si sa, amano conservare i sapori antichi delle tradizioni. Anche se in tanti la considerano frutto di altre culture, d’oltreoceano.
Le impostazioni non piacciono a nessuno, i sorrisi sì.