Tiriolo è centro agricolo della Sila Piccola che sorge nell’Istmo di Catanzaro, sulla cima di un vulcano che è spartiacque tra le valli dei fiumi Amato e Corace. Il borgo si trova nel punto più stretto dell’Istmo di Catanzaro che è l’istmo più piccolo d’Italia dal quale è possibile vedere sia il Mar Tirreno che il Mar Ionio.
La leggenda racconta le origini di un primo insediamento a Tiriolo di popolazioni elleniche, anche sei secoli prima della guerra di Troia. Infatti, lo si indica come la mitica Scherìa, patria dell’omerico popolo dei Feaci. Tuttavia, ci sono testimonianze che legano il territorio all’epoca del Neolitico.
Ciò fa di questo borgo e del suo territorio circostante un interessante centro in cui la storia e le leggende si sono susseguite e le tradizioni sono così antiche che andrebbero conservate gelosamente per le generazioni future.
La leggenda del Re Niliu
La leggenda del Re Niliu è famosissima tra gli abitanti e fa parte di un’autentica tradizione popolare.
In cima al Monte Tiriolo c’era un grande castello dove abitavano un re e una regina che avevano un figlio il quale si chiamava Niliu. Egli si innamorò di una bella ragazza che intendeva sposare.
Ma il re e la regina non volevano perché la giovane donna era povera e proveniente dal popolo, mentre Niliu era ricco e un principe.
Vista la resistenza dei genitori di lui, un giorno Niliu fuggì con la sua amata. La regina madre lo maledisse dicendogli: «Possa tu liquefarti come la cera, appena ti colpisce una sfera di sole».
Il povero Niliu, per non essere raggiunto dai raggi del sole, fu costretto a rinchiudersi dentro una stanza senza finestre, stando sempre al buio.
La coppia ebbe anche un bambino, ma i reali riuscirono a dividerli ugualmente.
Infatti, la sua amata fu fatta rinchiudere in una grotta sul mare insieme al figlioletto. Ma Niliu che voleva condividere la vita con la sua famiglia, scavò un canale che sbucava al fiume Corace.
Di notte, Niliu andava a trovare la moglie e così poteva stare col bimbo fino all’alba. Appena cantava il gallo tornava a rifugiarsi nella grotta, affinché non venisse colpito dalla luce del sole.
Un giorno, il gallo non cantò e il povero Niliu si sciolse al sole, lasciando tutti i suoi averi al diavolo.
Spartaco e il Vallo
Alcune fonti riportano le gesta di Spartaco intenzionato a raggiungere la Sicilia.
Durante il sui viaggio, restò intrappolato nella punta del Bruzio luogo in cui Crasso era riuscito a scavare da mare a mare, attraversando l’istmo, realizzando un canale lungo circa 52 chilometri e largo quattro metro e mezzo.
Plutarco scrisse che, dopo innumerevoli perdite, Spartaco alla fine riuscì a superare il “Vallo” in “una notte nebbiosa con vento di tempesta”.
La Licantropa di Nicastro e il Conte Masano
Tra le leggende calabresi legate al mito del lupo mannaro, la più nota è quella della Licantropa di Nicastro.
La storia o leggenda fu pubblicata nel 1883 a Londra nella guida turistica: “Cities of Southern Italy and Sicily”.
Durante quel periodo erano famose le storie gotiche e riscuotevano un discreto successo e anche avevano un certo fascino tra i lettori.
Secondo la leggenda, il Conte di Masano era un appassionato di caccia che aveva sposato la bella figlia del Barone Arena.
Il barone possedeva una vasta terra che faceva controllare dai suoi guardiani per evitare l’invasione dei bracconieri.
Una notte, uno dei guardiani fu aggradito da un branco di lupi. L’uomo, per difendersi, aveva lottato contro gli animali feroci con grande difficoltà, ma nonostante tutto era riuscito ad amputare la zampa di uno dei lupi.
Quando l’arto fu tagliato la zampa si trasformò in una mano di donna che indossava un anello.
Il Conte Masano riconobbe l’anello poiché apparteneva alla donna che aveva sposato.
L’uomo chiamò quindi la moglie che effettivamente aveva un moncherino e togliendo le bende lo si vide sanguinante.
Per punizione, la donna fu rinchiusa nel castello per essere condannata a morte.
La leggenda della Ninfa Arocha
Racconta un’antica leggenda che nell’istmo di Catanzaro, nel punto più stretto della Calabria dove si incontrano i due mari: lo Ionio e il Tirreno, viveva la ninfa Arocha, figlia del Crati e del Targine, facente parte del coro della Dea Artemide.
La bellissima creatura semidivina si dedicava alla caccia e al tiro con l’arco.
Petraro era un pastore che vide la ninfa e se ne innamorò perdutamente mentre Arocha si lavava a una fonte d’acqua.
Il pastore tentò più volte di avvicinare la creatura, ma veniva sempre rifiutato.
Il dolore di non essere corrisposto portò l’uomo alla follia.
In un primo momento, rimase senza sonno e cibo per interi giorni poi il suo amore sfociò nella violenza.
Infatti, il pastore prima abusò della bellissima ninfa e poi scappò via.
Arocha si sentì umiliata e offesa e si chiuse in sé stessa per intere giornate.
A nulla valsero gli aiuti e le parole delle altre ninfe. Neanche Artemide riuscì a consolarla. Arocha passava le sue ore piangendo.
La giovane ninfa piangeva così tanto che Zeus, mosso da pietà, la trasformò in un fiume: l’attuale fiume Corace.
L’ira di Zeus portò il Dio del Sole a cercare il pastore dappertutto. Ovunque Patraro passasse Zeus radeva il suolo con dardi infuocati, rendendolo arido e poco salubre per sempre.
Alla fine Zeus trovò Petraro e ne fece bersaglio di un lancio di pietre, seppellendolo vivo.
Ancora oggi, nei pressi di Tiriolo, esiste una zona arida chiamata Petraro, che da allora porta il nome dal pastore cattivo.
Ulisse e lo stupore dei due mari
A Tiriolo c’è un monumento commemorativo in calcare bianco in ricordo del passaggio di Ulisse, come testimoniano gli studi del Professor Armin Wolf.
Secondo Omero, Ulisse percorse la Terra dei Feaci e fece proprio la via dei due mari.
Omero descrive il viaggio che Ulisse fece a piedi dopo il naufragio, dal Mar Tirreno al Mar Ionio.
Nausicaa guidò Ulisse alla città e reggia dei Feaci, situata sullo spartiaque fra i due mari.
A Tiriolo Ulisse guardò con stupore la bellezza dei due mari: il panorama unico dell’attuale Golfo di Lamezia a ovest ed del Golfo di Squillace a est.