Lo scrittore e poeta Filippo Bozzali è stato in Calabria per un breve periodo della sua infanzia. Nato in Sicilia, precisamente a Licodia Eubea, nel 1954, ha recentemente raccontato di sé bambino quando la madre, maestra elementare, vinse un concorso per insegnare a Catanzaro.
Sebbene abbia vissuto a Miglierina e a Guardavalle per pochi anni, il ricordo della nostra terra lo accompagna spesso. Un po’ come in una macchina del tempo che ci riporta in luoghi e profumi ormai lontani e che magari ci aiuta ad andare nel futuro, a sognare da adulti.
Infatti, basta un odore, un nome o anche un’immagine per catapultarci in una dimensione diversa dal presente. Ed è attraverso questo grande portale che Filippo Bozzali ci regala i suoi ricordi di quando aveva appena 5 anni. I ricordi relativi all’infanzia sono sempre sinceri e indelebili, assolutamente inalienabili.
In ogni adulto c’è il bambino che fu; un bimbo è come un marinaio che naviga a largo: ogni cosa che vede è l’immenso del mare e la bellezza delle cose che la natura ci offre.
I profumi di Miglierina raccontati da Filippo Bozzali: l’odore della nebbia
“L’odore della nebbia. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è la primavera la stagione degli odori, ma l’estate. La primavera è la stagione dei profumi, ma gli odori sono un’altra cosa: gli odori sono estivi. L’odore della stoppia bruciata, l’odore del mare quando il sole “secca” l’acqua e lascia il salmastro sugli scogli; l’odore di terra bagnata che un temporale estivo si lascia dietro e che io trovo di una intensità travolgente, quasi mistica.
– Non è facile restare puliti in un mondo che ci vuole sporchi. Bozzali ricorda la povertà della Calabria anni ’60
Andando però indietro con la memoria, il mio primo e più intenso ricordo di odori mi riporta in Calabria. E d’inverno. L’odore della nebbia! Era l’inverno del ’59: avevo 5 anni. Mia madre, maestra elementare, aveva vinto il concorso a Catanzaro e il primo anno le fu assegnata Miglierina, un piccolissimo centro della provincia.
Povertà da Terzo Mondo, dignità da vendere. Io ero sicuramente un privilegiato. I miei primi amici mi chiamavano “quello nuovo con le scarpe”. Giocavo con bambini e bambine che non avevano le scarpe. In mezzo alla neve. Perché la nebbia?
Perché l’odore della nebbia?
Perché aveva un odore particolarissimo, tetro, mortale, e quando a volte mi capita di risentirlo mi si accappona la pelle.
– Pane e castagne
In Calabria c’era l’usanza di ammazzare il maiale, e i freddi silenzi di quei giorni di neve venivano squarciati dalle urla dei maiali che soccombevano alla selvaggia e primitiva forza degli uomini. In un rito quasi tribale, sacrificavano l’animale per farne, nel giro di poche ore, specialità tipiche quali salsiccia, gelatina, sanguinacci, soppressata, ’nduja. L’odore del sangue, il vapore dell’acqua bollente nel calderone, gli umori della bestia squartata si alzavano e restavano sospesi nella densità della nebbia.
Avevo la sensazione di respirare la morte, mentre a Miglierina in quei giorni era festa: si mangiava carne al posto delle castagne. Ricordo la mia tracotante superbia. Odiavo quegli uomini allegri e sazi di carne. Non avrei mai condiviso neanche una briciola della loro crudeltà.
Ci sono voluti degli anni prima che assaggiassi la carne e ancora oggi, se posso, la evito. Preferisco le castagne.
Un ricordo bellissimo è, invece, il pane di Calabria. L’odore del pane. Se qualcuno mi chiedesse di esprimere un desiderio, non avrei alcun dubbio. È un desiderio infantile, lo riconosco, e forse è bello proprio perché infantile.
Il mio desiderio è che tutti i bambini del mondo abbiano la possibilità di assaggiare e odorare il pane di Calabria. Di quella Calabria. Quelle enormi ciambelle di pane, simili a ruote di carro, che stavano infilzate in un palo che usciva dalla parete di una bottega che vendeva di tutto. Poco ma tutto… e non per tutti.
– il pane di Dio
Di fronte alla varietà di pane oggi in commercio, non posso non tornare indietro in quella bottega di Miglierina e guardare dal basso dei miei 5 anni quelle ruote di pane, l’unica forma, l’unica varietà, l’unica qualità di pane. Allora non potevo arrivare a quel palo nel muro, oggi me ne ricordo come se quel palo custodisse il cibo degli dei. È a forma di ruota il pane di Dio.”
Guardavalle e le fatiche di Ercole: eredità d’affetti
“Eredità d’affetti. Mia madre amava Foscolo e il carme dei Sepolcri, e ogni volta che eventi tristi e luttuosi provocavano scoramenti e cadute di fede, ripeteva la sua frase preferita: «Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna».
Eredità d’affetti.
Forse è questa la sintesi dell’amore: donare affetto, ereditare affetto, nutrirsi d’affetto e rilasciare affetto ereditato. Credo sia la più potente ed efficace difesa immunitaria mai esistita. Eredità d’affetti.
– Si va via per ritornare
Sono tornato, di recente, nella Calabria della mia infanzia. Ho rivisto Guardavalle, dove mia madre insegnò per un anno; ho attraversato per qualche ora i luoghi che mi videro bambino, riconoscendo, a tratti, strade e case che la memoria aveva fissato con il grandangolo di un bimbo e che adesso rivivi e rivisiti da altra prospettiva, con due occhi che li chiudi e inquadrano i ricordi, li apri e fotografano la realtà.
Eredità d’affetti.
Tornare in Calabria per ritrovare l’affetto, non tanto e non solo dei luoghi, che continua ad esistere ed è struggente, ma soprattutto l’affetto di persone che non vedevo da più di mezzo secolo e che da più di mezzo secolo appartengono comunque alla mia sfera affettiva: Rosa, Giovanni, Melina.
Eredità d’affetti.
Arrivare di sera, guidati dalla luce del faro di Punta Stilo ed essere accolti, non dalle tre persone che ricordavi e che cercavi di riconoscere attraverso vecchissime foto, ma da venti e più persone: mogli, mariti, figli, nipoti e amici che iniziano fin da subito a dispensare affetto.
– È bello sentirsi calabrese. Nel cuore, nei ricordi, nell’emozione
Tra i cugini, fratelli, nipoti, ci sono i titolari della locanda e dell’Agriturismo dove abbiamo alloggiato con mio fratello e le rispettive consorti. L’indomani mattina, dopo avere goduto di un panorama mozzafiato, di strutture d’eccellenza, della cordialità del clima, inizi a riconoscere segnali inequivocabili: un tetto ancora aperto e annerito, il fantasma di un trattore imbiancato dalla schiuma dell’estintore, una botte squarciata, residui di violenza.
Leggi, ti informi, chiedi e vieni a conoscenza dei sette attentati in sette anni e delle sette prove di coraggio, le sette fatiche di Ercole.
Ercole però era un mito;
Ercole riuscì perché è leggenda;
Ercole riuscì perché non è mai esistito.
Loro invece stanno vincendo e vinceranno perché hanno una forza sconosciuta ai semidei, ai bulli, ai semidei bulli: l’eredità d’affetti.
Solo se hai dentro di te quei grandi valori morali che contraddistinguono le “famiglie d’affetto”, puoi combattere e sconfiggere la stupidità umana. Ed ecco che torna prepotente e trionfale la frase tanto amata da mia madre, che all’inizio degli anni sessanta conobbe, condivise e trasmise questo affetto.
È bello sentirsi calabrese. Nel cuore, nei ricordi, nell’emozione.“
Filippo Bozzali e il presente di un nuovo verismo?
Oggi, Bozzali è uno scrittore e poeta che vive in Sicilia vicino ai luoghi descritti da Giovanni Verga. Ha preferito vivere in campagna dopo avere svolto il ruolo di Direttore del Servizio Riscossione Tributi, per una vita intera. Un lavoro molto concreto, totalmente opposto all’ideale che si potrebbe avere di un poeta e di un amante della letteratura, in tutte le sue accezioni.
Filippo Bozzali ha vinto anche dei premi a livello nazionale grazie alla scrittura di diverse poesie dialettali. Infatti, è un appassionato della lingua siciliana e di Nino Martoglio. Al contrario, Giovanni Verga usò la lingua italiana, per essere accessibile a tutti, ma nel contempo una “struttura siciliana” per la costruzione delle frasi.
Bozzali recentemente ha anche scritto un libro “Marinusa”, un libro a quattro mani perché scritto insieme a Luisa Gennaro. Precedentemente è stato autore di un libro di racconti dal titolo “Di quella volta che”.
Non a caso Bozzali ha pubblicato una frase molto significativa e che probabilmente rappresenta l’essenza della sua vita: “Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai”. (Giorgio Caproni – “Biglietto lasciato prima di non andar via”)
Sicuramente in Calabria ha lasciato un pezzettino della sua anima con la quale ci parla. Se si conosce la lingua dell’anima e la sua grammatica, grazie al suo vocabolario non si resta mai senza parole. Anzi, si riesce a parlare con tutti. Ma proprio tutti!
Dello stesso autore:
‘U professuri confinato’ Cesare Pavese
Il cronista antifascista Corrado Alvaro
Pagina Facebook: Amore per la cultura, la letteratura e la grammatica italiana