Al Musmi si è parlato di sanità militare con testimonianze di ex ufficiali medici
C’è una faccia del pianeta sanità che rimane in penombra e lontana, anche geograficamente, dalla realtà quotidiana. Si tratta dei tanti medici, infermieri e tecnici in servizio nell’Esercito, nell’Aeronautica e nella Marina e che operano in missioni all’estero, spesso in condizioni ambientali e logistiche difficili. A loro l’associazione culturale ‘Calabria in armi’ ha dedicato il convegno “La Sanità militare nelle operazioni internazionali”, svoltosi sabato 2 marzo presso il Museo storico militare (Musmi) di Catanzaro. Relatore Cosimo Francesco Zurzolo, dirigente responsabile dell’Unità operativa di Medicina d’urgenza e Pronto soccorso dell’ospedale di Soverato e con alle spalle l’esperienza da ufficiale medico a Bala Baluk, Afghanistan. Nella sua introduzione il generale Pasquale Martinello, presidente dell’associazione e già a capo del Comando militare Esercito ‘Calabria’, ha tracciato un excursus storico della sanità militare italiana. Gli albori della specialità videro Amedeo II di Savoia istituire nel Settecento gli Ospedali reali; poi, nel 1833, Carlo Alberto fondò il Corpo dei medici militari, inizialmente di cento unità, successivamente ampliato nell’organico e denominato Corpo di sanità militare. I compiti dei medici impegnati sui vari fronti di guerra non si limitarono alla sola cura dei feriti. Preziose si rivelarono le misure d’igiene e profilassi messe in atto per fronteggiare minacciose epidemie di tifo e colera, come durante la guerra di Libia (1911-12), ed encomiabile l’assistenza anche alle popolazioni civili, come dimostrarono la Prima e la Seconda guerra mondiale. Le quindici medaglie d’oro concesse ad ufficiali medici durante quest’ultimo conflitto, ha sottolineato Martinello, sono la testimonianza più alta della loro opera umanitaria e del lavoro svolto con abnegazione anche fino all’estremo sacrificio (“morirono per non far morire”). L’appassionata testimonianza di Zurzolo ha trascinato l’uditorio nel crudo scenario della guerra in Afghanistan di alcuni anni fa. Molte diapositive ed anche un filmato hanno illustrato il quotidiano e sottile confine tra vita e morte e le difficoltà emerse in quel particolare contesto. Organizzazione e cooperazione con le altre forze internazionali dislocate nell’area hanno permesso alla sanità militare italiana di portare a buon fine molti interventi di soccorso, alcuni dei quali rivolti agli stessi avversari. “Abbiamo prestato cure anche a talebani feriti da noi catturati – ha affermato il relatore – perché per un medico non vi sono distinzioni di razza, nazionalità o credo religioso”. Alcune immagini proiettate al convegno hanno mostrato l’importante opera d’istruzione e addestramento che ha portato alla formazione di soccorritori nell’esercito e nella polizia locali, altre hanno intenerito i presenti con scene di bimbi spauriti curati in ambulatorio. Per loro, come per le loro mamme e la gran parte degli afgani, è stato il primo incontro con un camice bianco. Nel dibattito che ne è seguito altre significative testimonianze di servizio all’estero sono state portate dagli ex ufficiali medici Giuseppe Pipicelli e Francesco Calabrò.