Il 12 dicembre 1969, la strage di piazza Fontana a Milano: un attentato devastante che scatenò la violenza degli anni di piombo e svelò le ombre della strategia della tensione
Il 12 dicembre 1969 è una data che ha segnato un punto di svolta drammatico nella storia della Repubblica Italiana. In quella giornata, una serie di attentati devastanti scosse l’Italia, ma il più noto e tragico fu sicuramente quello avvenuto a Milano, presso la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana.
L’attentato, che causò la morte di 17 persone e il ferimento di oltre 80, è considerato uno degli episodi più sanguinosi degli anni di piombo, un periodo caratterizzato da violenza politica e sociale, in cui gruppi estremisti, sia di sinistra che di destra, combattevano per imporre le proprie visioni ideologiche. La strage di piazza Fontana fu il primo di una lunga serie di attacchi che caratterizzarono quel periodo drammatico per l’Italia.
Il contesto politico e sociale dell’Italia negli anni ’60
Negli anni ’60, l’Italia stava attraversando un periodo di profondi cambiamenti. La ricostruzione post-bellica era ormai completata, ma le tensioni sociali e politiche erano fortemente accentuate. Le grandi trasformazioni economiche avevano portato l’Italia a diventare una delle principali potenze industriali del mondo, ma ciò aveva anche generato disuguaglianze, lotte sindacali e un crescente malcontento nelle classi operaie e nelle aree meridionali.
A questo si aggiungeva la crescente instabilità politica. Il governo italiano, segnato dalla presenza della Democrazia Cristiana, cercava di mantenere un equilibrio difficile tra le pressioni interne e le alleanze internazionali, specialmente durante la Guerra Fredda, dove l’Italia si trovava tra l’orbita degli Stati Uniti e la crescente influenza sovietica.
Gli anni ’60 videro l’emergere di gruppi radicali, sia di destra che di sinistra, che rispondevano al malcontento sociale e politico con metodi violenti. Dalla sinistra, il Movimento studentesco e i gruppi terroristici come le Brigate Rosse, e dalla destra, gruppi come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, cominciarono a pianificare azioni sempre più violente.
La strage di piazza Fontana
L’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano avvenne alle 16:37 del 12 dicembre 1969, quando una bomba esplose nella sala d’ingresso dell’edificio, distruggendo gran parte dell’area e provocando la morte di 17 persone, tra cui 14 uomini e 3 donne, e ferendo gravemente oltre 80. La bomba, artigianale e potente, fu piazzata in una zona affollata di persone, aumentando il numero di vittime.
Immediatamente, la responsabilità dell’attentato venne attribuita a gruppi anarchici, con la polizia che arrestò alcuni esponenti del movimento. La figura centrale degli arresti fu Pietro Valpreda, un anarchico milanese, che finì per essere accusato del crimine. Tuttavia, durante il processo emersero numerose contraddizioni e dubbi sulle prove, portando a una lunga e controversa vicenda giudiziaria.
In realtà, le indagini avrebbero rivelato che l’attentato era stato orchestrato da forze neofasciste, con la complicità di elementi all’interno dei servizi segreti italiani. L’intento di queste forze non era solo quello di seminare il panico e la morte, ma anche quello di destabilizzare il paese e alimentare la tensione sociale, in modo da favorire un eventuale colpo di stato o una reazione autoritaria.
L’inchiesta e le teorie del complotto
Negli anni successivi alla strage, si svilupparono numerose teorie sul coinvolgimento di settori deviati dello Stato. L’inchiesta sulla strage di Piazza Fontana, che inizialmente aveva puntato il dito contro gli anarchici, si rivelò sempre più complessa. Nel 1972, dopo un lungo processo, Pietro Valpreda fu prosciolto, ma il caso rimase irrisolto. Le indagini portano alla luce il coinvolgimento di gruppi neofascisti come Ordine Nuovo, ma anche il ruolo ambiguo dei servizi segreti italiani, che avevano avuto legami con questi gruppi estremisti.
Il “Strategia della Tensione”
La strage di Piazza Fontana è spesso inserita nel contesto della cosiddetta “Strategia della Tensione”, una teoria che suggerisce che una parte delle istituzioni italiane, compresi i servizi segreti, abbia volutamente alimentato la violenza politica e il caos al fine di giustificare misure di controllo autoritario e prevenire l’ascesa del comunismo in Italia. Questo periodo di violenza, che comprende anche altre stragi come quella di Brescia nel 1974, e gli attentati alle stazioni ferroviarie e in altre città italiane, ha lasciato una cicatrice profonda nella memoria collettiva del paese.
La strage di piazza Fontana rimane uno dei simboli di quegli anni di violenza e di incertezze politiche che l’Italia ha vissuto negli anni ’60 e ’70. Sebbene siano passati più di cinquant’anni, il caso continua ad essere oggetto di discussioni e inchieste, e i colpevoli, seppur identificati in parte, non sono mai stati completamente puniti per il loro ruolo in quell’atroce atto di violenza.
Il 12 dicembre 1969 rappresenta un momento oscuro e doloroso della storia italiana, ma è anche un punto di riflessione sullo stato della democrazia e sul rischio che le tensioni interne possano essere strumentalizzate per scopi politici che mettono in pericolo la stabilità e la pace di una nazione.