L’inchiesta coordinata dalla Procura di Palermo.
Rosalia avrebbe aiutato per anni il fratello a sottrarsi alla cattura e avrebbe gestito per suo conto la “cassa” della “famiglia” e la rete di trasmissione dei ‘pizzini’, consentendo così al capomafia di mantenere i rapporti con i suoi uomini durante la sua lunga latitanza.
Mentre cercano il posto giusto per nascondere delle cimici, i militari scoprono un appunto all’interno di una gamba cava di una sedia. Si tratta di un appunto sulle condizioni di salute di Matteo Messina Denaro, da lei nascosto, a dare agli investigatori l’input che ha portato, il 16 gennaio scorso, all’arresto del capomafia.
Lo fotografano e lo rimettono al suo posto, in modo da non insospettire la donna. Si scopre che è un diario clinico di un malato di cancro. Nessuno dei parenti di Rosalia, da quanto risulta, soffre di patologie oncologiche. Il sospetto è che si tratti di Matteo Messina Denaro.
Attraverso accertamenti effettuati, arrivano a Andrea Bonafede, geometra di Campobello di Mazara e nipote del boss locale. Il paziente oncologico di cui si parla nel pizzino non può essere lui, perché nei giorni in cui il malato subiva le operazioni, una a Mazara del Vallo l’altra a Palermo, Bonafede si trovava a casa sua a Campobello.
L’analisi della cartella sanitaria conduce gli inquirenti alla visita prenotata a nome Bonafede alla clinica “La Maddalena” il 16 gennaio 2023. E poco dopo le 9:00 del mattino scatta il blitz che mette fine alla trentennale latitanza del padrino.