Si parla spesso di cervelli in fuga: donne e uomini di qualunque età che abbandonano l’Italia per recarsi all’estero per lavoro. Il motivo è soprattutto perché allettati da stipendi più dignitosi che garantiscono una vita senza precariato. La domanda è sempre la stessa: quanto perde l’Italia in questa emorragia di talenti? Quanto perde una regione come la Calabria che vede ogni anno un vero e proprio esodo di persone capaci e apprezzate dappertutto tranne che nella propria terra? Tanto. Ma non solo. Questo fenomeno riguarda intere famiglie i cui elementi si allontanano per sempre, facendo rientro solo per le vacanze. È il prezzo da pagare per la globalizzazione che rende sempre più vicini i continenti.
Il Corriere della Sera racconta la storia di Claudia Misale – 37 anni – laureata in informatica con il massimo dei voti (e lode) presso l’Università di Cosenza e un dottorato PhD presso l’Università di Torino.
Tanti sacrifici, tanti investimenti per creare un esercito di cervelli in fuga
Dopo la laurea e il master a Cosenza, Claudia Misale si trasferisce a Torino per conseguire il dottorato di ricerca. L’offerta del 2013 era tra le migliori e inoltre a Torino studiavano le sue sorelle. La Calabria era già lontana nonostante l’avesse dato l’opportunità di studiare e imparare ciò che avrebbe potuto sfruttare sul territorio per cogliere la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. È una storia che si ripete e che svuota città e paesi. Però, come non capire chi si trasferisce altrove?
L’ex ricercatrice qualche anno fa aveva accettato uno stage retribuito presso l’IBM di New York. All’epoca il colosso statunitense le offrì 4000 dollari come paga per l’internship, per svolgere la ricerca all’interno dell’azienda. Un sogno per tanti ragazzi laureati e no che sono purtroppo costretti a fare stage spesso gratuiti pur di aggiungere una voce ai propri curricula. Quando lei accettò aveva solo 26 anni e stava ancora studiando.
Claudia Misale racconta così quella scelta: «Ho fatto domanda per un “internship” sul sito di IBM, l’equivalente di uno stage, e mi hanno presa: all’epoca non mi interessava affatto trasferirmi negli Usa, ma era un’opportunità da non perdere: soltanto tre mesi estivi con uno stipendio di circa 4 mila dollari al mese, poi prolungati fino a novembre»
Eppure, per questa storia così comune, ma oggettivamente entusiasmante, c’era ancora un altro capitolo da scrivere fatto di soddisfazione personale e professionale.
Rientrata dallo stage a New York, la dottoressa Misale riesce consegue il titolo di PhD presso l’Università di Torino, pensando che l’esperienza americana fosse conclusa. Invece, ecco che arriva la cosiddetta proposta che non si può rifiutare. L’IBM di New York le offre un lavoro a tempo indeterminato con uno stipendio iniziale tra i seimila e gli ottomila dollari. Una retribuzione che in Italia non avrebbe mai raggiunto, con la possibilità di crescita professionale non paragonabile per altri colleghi italiani.
La decisione è stata sofferta, infatti la Misale afferma: «Ci ho riflettuto un paio di mesi e poi ho accettato: non ero entusiasta di tornare in America, ma il posto di lavoro mi era piaciuto tantissimo e mi ero trovata molto bene con i colleghi. Il progetto di ricerca si allineava perfettamente con il mio dottorato, all’epoca, era il 2017, sono entrata lavorando nel campo dei Big Data, precursore dell’AI, a realizzare un super computer per simulazioni scientifiche»
Sono passati ben otto anni da quella decisione di trasferirsi in America. Oggi si è sposata con un americano e vive vicino New York dove ha comprato una di quelle villette da sogno americano.
Misale lavora su tecnologie cloud e intelligenza artificiale e crea piattaforme sia hardware che software per industrie private e università.
Inutile dire che in questi anni dall’Italia nessuno l’ha mai chiamata per farla rientrare a casa. Ci sarebbe da chiedersi: se avesse rifiutato cosa avrebbe fatto in Italia? La risposta se l’è data lei stessa: la precaria a vita.
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