Può l’avidità portare a uccidere un neonato? Evidentemente sì. Una bruttissima storia che si è svolta a Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, e che coinvolge un medico e una madre che portava in grembo un feto di sette mesi, concepito all’interno di una relazione extra coniugale. Entrambi, con la complicità di altre due persone, si sono macchiati di un reato gravissimo: infanticidio, omicidio volontario premeditato e aggravato in concorso tra loro.
Nell’ambito della maxi inchiesta Medical Market, dopo sette anni e mezzo dalla tragedia e a cinque anni dagli arresti dei quattro responsabili, c’è stata prima la richiesta di condanna e poi la sentenza definitiva nei confronti di: Sergio Garasto, noto medico ospedaliero, Stefania Russo, madre del neonato indesiderato, Nunziatina Falcone, amica della madre che l’ha aiutata ad abortire, Piero Andrea Zangaro, amico d’entrambe le donne e facente da tramite tra in medico e la madre. I colpevoli sono tutti di Corigliano Calabro, comune della parte ionica cosentina.
Il 17 febbraio ultimo scorso, si è arrivati alla condanna definitiva che consiste in poco più di venti anni di reclusione degli imputati sebbene, pochi giorni prima, l’11 febbraio, di fronte ai giudici della Corte d’assise di Cosenza, presieduta da Paola Lucente, il pubblico ministero della Procura di Castrovillari – Valentina Draetta – avesse richiesto la condanna alla massima pena prevista dall’ordinamento: l’ergastolo.
I fatti accaduti nel 2012
Il processo che li ha visti protagonisti è riferito a un fatto tragico accaduto la sera del 15 maggio 2012. In quel periodo, i Carabinieri di Corigliano stavano indagando su delle presunte truffe ai danni delle assicurazioni. Nelle indagini erano anche “monitorati” alcuni medici, tra cui proprio Garasto. Quella notte, ricevettero una telefonata in cui si denunciava un incidente automobilistico, ma una volta recati sul posto non vi era alcuna traccia del sinistro.
Quella sera, Stefania Russo, all’epoca incinta di sette mesi, si presentò all’Ospedale di Corigliano-Rossano con l’amica Nunziatina Falcone, raccontando di avere avuto un incidente automobilistico. Un testimone che lavorava in ospedale e che vide entrare la Russo, disse letteralmente che “aveva il feto tra gambe”, ma nell’auto non c’erano né sangue né tracce di liquidi.
Secondo i giudici, il bimbo venne sì alla luce ma poi fu lasciato morire dal medico di turno, Sergio Garasto, soprannominato “dottor morte”.
Sempre secondo i giudici che hanno emesso la sentenza, “i quattro hanno consumato il crimine al fine d’incassare e di dividersi il risarcimento d’una polizza assicurativa automobilistica per responsabilità civile. Simulando che a causare l’aborto di Stefania Russo fosse stato un sinistro stradale“.
Il feto aveva già sette mesi di gestazione, quindi un neonato già formato per cui non è possibile produrre un aborto legale. Zagaro aiutò le due donne al “disbrigo delle pratica con il dottore compiacente nel farla abortire”.
Pochi giorni prima dell’aborto, la Falcone aveva chiamato un altro medico della struttura ospedaliera di Corigliano. Il motivo della telefonata era la richiesta di far abortire una sua amica. Il medico si rifiutò perché la donna era avanti nella gestazione, ma di fronte ai giudici non si è potuto verificare se fosse proprio la Russo la gestante e amica della Falcone.
La sentenza del 17 febbraio 2020 per l’omicidio del neonato
C’è un altro episodio che ha incolpato Garasto dell’omicidio. La sera in cui si presentarono in ospedale la Russo e la Falcone, lui cercò di trafugare un medicinale dal reparto di ginecologia, il Cervidil. La medicina, se assunta durante la gravidanza, porta all’aborto e non lascia traccia. Quella notte, con una scusa, Garasto cercò di allontanare l’ostetrica di turno per potere agire inosservato; ma la donna si accorse comunque della sottrazione e rimise a posto il farmaco, togliendolo letteralmente dalle mani del medico.
Per i difensori degli imputati, il feto era arrivato già morto in ospedale, ma per l’accusa, la morte del neonato era avvenuta meccanicamente. Nella fattispecie, secondo i giudici e l’accusa, i colpevoli completarono la nascita del feto e poi lo lasciarono morire per portare a termine l’atto criminoso.
Alla luce dei fatti e dopo avere ascoltato vari testimoni, per i Giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza i quattro imputati sono colpevoli di omicidio volontario premeditato.
Con la sentenza di ieri, 17 febbraio, la corte ha inflitto 25 anni di reclusione al medico. Alla madre del piccolo sono stati dati 24 anni di carcere, mentre gli amici complici hanno avuto una condanna a 23 anni di galera.