Coronavirus, le peripezie di uno chef catanzarese in Cina

Lo chef Paolo Dodaro con la famiglia (fonte: Huffingtonpost)

L’allarme sanitario relativo al Coronavirus sta sconvolgendo la vita di molti italiani residenti in Cina.

Paolo Dodaro, 42 anni, è uno chef di Borgia diventato famoso per avere vinto Masterchef. Un orgoglio catanzarese e calabrese che ha conquistato i cinesi, promuovendo i prodotti e l’enogastronomia della Calabria, facendo anche attività di formazione e di cooking class. Di recente, era stato a Catanzaro per la premiazione di “Vetrine in festa” affiancato da Joy Chang in rappresentanza della Camera di commercio di Shanghai.

L’Huffington Post gli ha dedicato un articolo in cui racconta il dramma legato alla psicosi che sta coinvolgendo il mondo intero per via dell’emergenza sanitaria del coronavirus. Attualmente, lui e sua moglie – una ragazza cinese – sono in quarantena, insieme al figlioletto Antonio di soli otto mesi, presso il Policlinico Militare del Celio a Roma. Questa psicosi e l’allarme che i media stanno spargendo lo sta costringendo a rivedere un progetto che avrebbe voluto attuare in Cina: aprire un ristorante italiano per far conoscere i prodotti e le ricette calabresi ai clienti cinesi che amano le bontà italiane.

Sotto osservazione al Policlinico militare di Roma

Siamo in quarantena al Policlinico Militare del Celio a Roma da sabato scorso. Con me, mia moglie e il nostro piccolo di otto mesi ci sono altre cinque persone arrivate da Wuhan. Ogni giorno ci misurano la temperatura almeno un paio di volte, poi tanti test, sia del sangue che, con il tampone, nelle narici e nella gola. Per fortuna tutti i risultati sono negativi. Medici e infermieri ci visitano però sempre e solo con tute impermeabili, cappucci e mascherine”.

Tutto è cominciato per una visita ai parenti in Cina

Il 22 gennaio scorso, lo chef insieme alla moglie e al piccolo Antonio si erano recati vicino Yican per visitare la famiglia di lei, in un paesino montano di sole 500 persone a due passi dalla città, 200 chilometri ad ovest da Wuhan.

“Abbiamo avuto sfortuna. Abitiamo molto più lontano da Wuhan, a Yueyang, ma avevamo qualche giorno di ferie per festeggiare il Capodanno cinese. Stiamo costruendo un ristorante italiano, un progetto molto ambizioso che non so se riprenderò più in mano, forse è tutto perso”.

Nei giorni precedenti a quel fine settimana se ne parlava nelle chat con gli amici e se ne ascoltava al telegiornale, ma si pensava che gli allarmi fossero esagerati. Solo quel sabato abbiamo capito la gravità della situazione. Le autorità cinesi hanno cominciato a recintare ogni luogo considerato sano invitando a non uscire di casa. Per ogni zona è stato nominato un responsabile che si assicura che in ogni casa ci siano solo persone sane e che tutti abbiano una mascherina. Da questo punto di vista i cinesi sono stati molto efficienti. Tutti i negozi sono però chiusi. Non ci si può rifornire di niente.

A livello alimentare siamo sopravvissuti grazie all’orto, ma non avevamo abbastanza latte in polvere per mio figlio. Quando la polizia locale mi ha contattato spiegando che l’Ambasciata italiana avrebbe messo a disposizione della mia famiglia un passaggio per raggiungere Wuhan e rientrare in Italia non ho avuto dubbi. Anche la mia famiglia, dalla Calabria, spingeva affinché rientrassi. E così, un paio di giorni dopo, un autista si è presentato davanti alla nostra porta per portarci via. Avrei voluto fare qualcosa anche per un mio amico australiano che era venuto con me e mia moglie a passare il fine settimana, ma aveva dimenticato il passaporto a Shangai e tuttora è bloccato in quel paesino”.

Da Wuhan a Londra e poi in Italia a causa del Coronavirus

Dovevamo andare via. Mio figlio è così piccolo che si leva continuamente la mascherina, rimanere in zona era troppo rischioso. Per fortuna, nonostante per un viaggio di normalmente tre ore ne abbiamo impiegate 12, con continui posti di blocco, siamo arrivati senza problemi all’aeroporto. Wuhan l’abbiamo attraversata in auto. Non si vedeva gente in giro. Non c’era nessuno per strada. All’aeroporto di Wuhan ci hanno unito assieme ad una cinquantina di altre persone.”

Il volo era stato organizzato dalla Gran Bretagna in collaborazione con Italia, Francia e Spagna. Durante la tratta eravamo tutti ad una grande distanza gli uni dagli altri. Il personale di volo si è fatto vedere il meno possibile e solo completamente incappucciati e con le tute. Niente pranzi o cene, solo snack e pezzi di pane. Atterrati a Londra, dopo qualche ora, siamo stati messi su un aereo militare italiano. Siamo atterrati a Pratica di Mare e poi portati qui al Celio. Abbiamo una stanza tutta nostra, un balcone e una camera con i giochi per Antonio. Dobbiamo solo avere pazienza”.

La speranza e la voglia di non abbandonare un progetto nonostante il coronavirus

Ho la percezione che stiano facendo il massimo, anche con tutti gli stranieri. Vengono spesso a sincerarsi delle condizioni e se si apre la possibilità agevolano il più possibile il loro rientro nei paesi di appartenenza. L’igiene, soprattutto nei paesini di montagna, è alta. Si invita però a lavarsi sempre le mani, mentre riscaldare l’acqua prima di berla è una consuetudine presente già da prima del Coronavirus, anche se comunque non c’entra nulla. Ho fiducia nel modo in cui stanno affrontando il problema, sono un popolo che non si arrende mai. Spero in sei mesi di potere tornare. Se non sarà possibile proverò ad aprire un ristorante qui in Italia. Vivo in Cina dal 2014, un po’ di Italia non mi dispiace anche se logicamente ora sto ragionando a come mia moglie, dai tratti chiaramente orientali, potrà essere accettata quando usciremo dalla quarantena. Ho fiducia nei miei compaesani, vedremo”.

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