Giudice Petrini: soldi, sesso e ora anche l’Opus Dei

Il Giudice Petrini e l'avvocato Tassone (fonte: nextquotidiano)

L’inchiesta “Genesi”ha portato all’arresto clamoroso del Giudice Marco Petrini, Presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, che in cambio di soldi “predisponeva” i processi, oltre a pretendere rapporti sessuali in cambio di favori.

Infatti, secondo le indagini effettuate, Petrini avrebbe aiutato l’avvocato Marzia Tassone in diversi processi, compreso uno dove l’avvocato aveva come cliente un imputato di duplice omicidio, in cambio di favori sessuali documentati almeno due volte dalle videoriprese. Ma si contano altri 16 rapporti sessuali consumati con un altro avvocato, Palma Spina.

Ora spunta anche un legame con la massoneria che trova fondamento in alcune intercettazioni telefoniche tra due indagati: Ottavio Rizzuto ed Emilio Santoro. Il primo è Presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca di Credito Cooperativo di Crotone e il secondo è un ex dipendente dell’Asp, intermediario tra Petrini e Pino Tursi Prato, ex consigliere regionale che aveva bisogno di “aggiustare” la sua sentenza che lo obbligava a restituire quanto incassato a titolo di vitalizio, revocato dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. La somma era pari a 156 mila euro.

Nello specifico, pare che ci sia l’ombra de “L’Opus Dei”, trattasi di massoneria deviata.

E di massoneria deviata riferisce anche Andrea Mantella, collaboratore di giustizia di Vibo Valentia. Il pentito, già ad aprile 2019, faceva riferimento all’appartenenza del giudice Petrini alla massoneria deviata. L’interrogatorio fatto a Mantella riguardava le relazioni esistenti tra i giudici di Catanzaro e la ‘ndrangheta.

Mantella si esprime con queste parole: “Petrini è un massone deviato, chiamato in gergo “il bolognese”. Oppure “quello con la gonnella” o “il porco”. In merito a quest’ultimo soprannome riferisco che il riferimento è anche in riferimento alle donne”.

E ancora: “Sono stato scarcerato attraverso certificati che attestavano la mia malattia; io ho dato 65.000 o 70.000 euro”.