La Suprema Corte, seconda sezione penale, ha disposto l’annullamento del decreto di confisca disposto dalla Corte di appello di Reggio Calabria nei confronti dei fratelli Fontana (Antonino, Giuseppe Carmelo, Francesco Carmelo e Giandomenico) e delle mogli dei primi due (Sinicropi Eufemia Maria e Surace Giuseppina Maria Grazia) relativamente ad un numero impressionante di beni : tre società, oltre venti beni immobili, tre terreni e conti correnti aventi consistenti somme di denaro, per un valore stimato di ben 28 milioni di euro.
Accolte in pieno le tesi del collegio difensivo rappresentato dall’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli e da numerosi avvocati del Foro di Reggio (Francesco Calabrese, Salvatore Morabito, Natale Carbone, Giovanni Curnari).
Tale decisione segue quella ancor più clamorosa assunta alcuni mesi orsono sempre dalla Suprema Corte con la quale sono state annullate senza rinvio le pesanti condanne inflitte nel giudizio penale di cognizione, tra le quali di anni 16 e mesi 6 di reclusione inflitta al ritenuto direttore della asserita associazione Fontana Antonino, soggetto rimasto in custodia cautelare per ben nove anni ma poi rivelatosi innocente.
È parimenti sorprendente la decisione della Suprema Corte di annullare anche la misura di prevenzione personale inflitta al padre degli imprenditori, Fontana Giovanni, condannato per mafia nel 1991, condividendo le ragioni giuridiche diffusamente introdotte dagli avvocati Dario Vannetiello e Francesco Calabrese.
Come si ricorderà trattasi dell’importantissima inchiesta che un decennio orsono portò al commissariamento per mafia del comune metropolitano di Reggio Calabria.
Dovrà ora svolgersi un nuovo giudizio presso diversa sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria ma il compito della difesa sarà agevole alla luce delle ben due decisioni favorevoli assunte dai giudici di legittimità.