Il verdetto appellativo: ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, scagionato da accuse gravi
Nell’ambito del processo “Xenia,” che ha fatto scalpore in Calabria e oltre i suoi confini, l’ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, ha ottenuto un sorprendente esito in appello che ha scagionato il suo nome da gran parte delle accuse che gli erano state rivolte. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Lucano a un anno e sei mesi di reclusione con pena sospesa, una sentenza notevolmente ridotta rispetto alla richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi. Questa decisione ha stravolto la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Locri, che aveva inflitto al politico una condanna più severa di 13 anni e 2 mesi di carcere per vari reati, tra cui associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio.
Il verdetto dell’appello è stato un colpo di scena per molti osservatori, poiché ha completamente assolto Lucano dai reati più gravi che gli erano stati contestati. Ancora più sorprendente è stata l’assoluzione di tutti gli altri 17 imputati coinvolti nel processo. Questa sentenza rappresenta una rivisitazione profonda del giudizio emesso dal Tribunale di Locri, e rappresenta una vittoria per l’ex sindaco di Riace, nonostante la minima condanna inflittagli.
La vicenda giudiziaria di Lucano aveva avuto inizio con l’inchiesta della Guardia di Finanza sul modello di accoglienza e integrazione noto come “Riace”. Nel settembre 2021, il Tribunale di Locri aveva condannato Lucano a una pesante pena detentiva, ma l’appello ha portato ad una svolta inaspettata. Gli avvocati difensori di Lucano, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, durante le loro arringhe, avevano contestato con veemenza la ricostruzione accusatoria, richiedendo l’assoluzione del loro assistito. Essi hanno denunciato un presunto “accanimento non terapeutico” contro Lucano e accusato il Tribunale di “stravolgimento dei fatti” e “uso distorto delle intercettazioni” allo scopo di condannare “a ogni costo” Mimmo Lucano.
Un punto cruciale delle contestazioni riguardava una conversazione che il Tribunale di Locri aveva ritenuto fondamentale per il caso. La conversazione era stata registrata dalla Guardia di Finanza e trascritta in modo che includesse una frase “inesistente” attribuita a Lucano, frase che non compariva nella perizia disposta dallo stesso Tribunale. Nelle motivazioni del verdetto d’appello, gli avvocati difensori hanno descritto questa lettura della conversazione come “forzata se non surreale dei fatti.”
Secondo gli avvocati di Lucano, l’obiettivo del loro assistito era coerente con quanto stabilito nei manuali relativi al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), ovvero, l’accoglienza e l’integrazione. Essi hanno sostenuto che non c’era alcuna prova emersa durante il processo, inclusa dalle intercettazioni, che avesse dimostrato un intento diverso da parte di Lucano nel suo agire.
In conclusione, il verdetto dell’appello ha rappresentato un punto di svolta significativo nella vicenda giudiziaria di Domenico “Mimmo” Lucano, ex sindaco di Riace. Mentre il verdetto originale aveva gettato un’ombra sulla sua lunga carriera di promozione dell’accoglienza e dell’integrazione, il nuovo verdetto ha sollevato dubbi sulla validità delle prove presentate contro di lui e ha portato a una riduzione significativa della sua pena, dimostrando la complessità e la controversia di un caso che ha attirato l’attenzione di tutto il paese.