“Helianthus” è il nome che gli investigatori della Polizia di Stato hanno dato all’operazione nel corso della quale, dalle prime ore di questa mattina, a Reggio Calabria, Roma e Cosenza sono stati eseguiti numerosi arresti e perquisizioni nei confronti di esponenti della ‘ndrangheta reggina.
Nello specifico, l’operazione “Helianthus” ha dato il via all’esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare. 12 in carcere e 2 agli arresti domiciliari. Emesse nei confronti di capi, luogotenenti ed affiliati alla temibile cosca Labate, intesa “Ti Mangiu” di Reggio Calabria. Ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa e diverse estorsioni aggravate dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta.
L’inchiesta della D.D.A. sviluppata con un’articolata indagine condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, ha consentito di ricostruire gli assetti e le dinamiche criminali del clan Labate. Una delle più potenti articolazioni della ‘ndrangheta unitaria, che controlla nella città di Reggio Calabria il popoloso quartiere di Gebbione.
Tra gli arrestati il boss Labate Pietro
Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, i poliziotti della Squadra Mobile hanno arrestato alcuni elementi di vertice e luogotenenti della cosca. Fra essi figurano il boss Labate Pietro a cui il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere essendo detenuto per altra causa. Il fratello Labate Antonino, reggente della cosca durante il periodo di latitanza di Pietro Labate. Il cognato (di entrambi) Cassone Rocco, nonché luogotenenti e nuove leve della consorteria.
La cattura del latitante Labate nel 2013
Le indagini da cui scaturisce l’operazione “Helianthus”, iniziate nel 2012, portarono a distanza di oltre un anno, il 12 luglio 2013, alla cattura del latitante Labate Pietro. Leader carismatico e capo storico della cosca che porta il suo nome. Questi si era sottratto nel mese di aprile 2011 all’esecuzione del fermo di indiziato di delitto emesso dalla D.D.A. di Reggio Calabria ed eseguito dalla Squadra Mobile nei confronti di capi e gregari delle Tegano e Labate. Nell’ambito dell’operazione “Archi”.
Al culmine di un’intensa e laboriosa attività investigativa supportata da molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali e da sistemi di video-sorveglianza, nell’estate del 2013 gli investigatori della Squadra Mobile localizzavano e catturavano il boss latitante nel suo feudo. Mentre si muoveva a bordo di uno scooter vicino al torrente S. Agata.
Nel covo in cui aveva trovato rifugio, non distante dal luogo in cui era stato localizzato, vennero scoperte alcune agende. Sulle quali il boss aveva annotato nomi di persona, importi e denominazioni di ditte rivelatesi determinanti ai fini dell’accertamento della penetrazione dei Labate nel tessuto di alcune attività economiche e commerciali locali.
Le indagini e le dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia
Le indagini sono state condotte con l’irrinunciabile ricorso alle intercettazioni e alle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia. Grazie alle quali è stato possibile individuare le gravissime vicende criminali che hanno determinato il graduale potenziamento della cosca Labate.
Per la prima volta, alcuni affermati imprenditori reggini del settore edile ed immobiliare, sentiti dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, dopo un’iniziale ritrosia dovuta al comprensibile timore di subire dure rappresaglie, ma desiderosi di liberarsi dall’opprimente giogo estorsivo, hanno deciso di collaborare.
Hanno denunciato di essere vittime di ripetute estorsioni consistenti nel pagamento di ingenti somme di denaro. Anche nell’ordine di 200 mila euro, ad esponenti di rilievo e luogotenenti del clan Labate. O nell’imposizione dell’acquisto di prodotti dell’edilizia presso attività commerciali nella disponibilità del clan.
Il clan Labate
Oggi il clan in questione è una potente articolazione della ‘ndrangheta unitaria. Che trova la sua forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche. E nei solidi rapporti di alleanza con famiglie ‘ndranghetistiche dei tre mandamenti.
Gli interessi economici dei Labate. Il core business delle estorsioni
L’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria fa luce sugli affari economici della cosca Labate. Svelando un certo dinamismo in alcuni settori illeciti come quello delle scommesse on-line, delle slot machines e dello sfruttamento delle corse clandestine di cavalli. Mantenendo tuttavia un elevato interesse per quello che rappresenta il core business delle attività criminali. Da sempre espressione dello strapotere mafioso dei “Ti Mangiu”. Segnatamente rappresentate dal sistematico ricorso ad attività estorsive nei confronti di operatori economici, commercianti e titolari di piccole, medie e grandi imprese.
Specialmente di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel settore dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa.
Estorsioni per alcune centinaia di migliaia di euro venivano imposte, con pesanti minacce, agli imprenditori. Durante i lavori di esecuzione di complessi immobiliari nel quartiere di Gebbione. Controllato capillarmente dai Labate.
Alcuni titolari di imprese erano obbligati, a causa dell’utilizzo della forza e dell’intimidazione, all’acquisto di prodotti dell’edilizia presso aziende nella disponibilità del clan. Un commerciante non ha potuto aprire una pescheria nel citato quartiere. Perché dava fastidio al titolare di un analogo esercizio commerciale, affiliato alla cosca.
Sequestrate 4 aziende nella disponibilità della cosca Labate
L’operazione “Helianthus” ha portato al sequestro 4 società, nella disponibilità dei capi e dei luogotenenti della cosca Labate.
Si tratta di una stazione di carburanti, di un esercizio commerciale di prodotti surgelati, di un’azienda operante nel settore dei prodotti di carta e plastica per gli alimenti e la ristorazione, di un negozio di vendita al dettaglio di pitture e vernici. Il valore dei beni è di circa un milione di euro.