Ergastolo per Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone: confermata la sentenza di primo grado dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Il verdetto è stato emesso al termine di una camera di consiglio durata oltre sei ore, dopo dieci anni di dibattimenti. Graviano e Filippone sono stati ritenuti i mandanti degli attentati ai carabinieri avvenuti tra la fine del 1993 e il febbraio del 1994, confermando l’ipotesi accusatoria portata avanti dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo sulla “guerra totale” allo Stato come “decisione unitaria di ‘ndrangheta e Cosa nostra” siciliana sfociata negli attentati del 1993 a Roma, Firenze e Milano e negli attentati ai carabinieri.
Durante le udienze, sono stati sentiti decisioni di testimonianze e pentiti di ‘ndrangheta e Cosa nostra, i quali hanno confermato le loro deposizioni. Il Procuratore generale d’aula Giuseppe Lombardo ha posto in evidenza i pericoli che hanno corso le istituzioni repubblicane, soprattutto con gli omicidi di Aldo Moro, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le decine di uomini e donne delle forze di polizia, falciati senza pietà.
La Pubblica accusa ha setacciato numerose sentenze emesse dai Tribunali di Palermo, Reggio Calabria, e passato sotto la lente di ingrandimento indagini delle Procure di Catanzaro, Roma, Firenze e Milano, riuscendo così a definire “l’unitarietà del fenomeno mafioso italiano”, seppure articolato essenzialmente sulla ‘ndrangheta, su Cosa nostra e Camorra, “in grado di contare su migliaia di affiliazioni, anche in Europa, Australia e nelle Americhe, che è riuscito a stabilire solidi legami con ceti professionali disposti a sostenerne il disegno, a riciclare, a suggerire soluzioni, a corrompere ea uccidere pur di mantenere inalterato il proprio potere”.
Giuseppe Lombardo ha individuato nelle “famiglie” De Stefano, Piromalli e Mancuso gli alleati dei corleonesi sulla sponda calabra che, attraverso i contatti con Giuseppe Graviano, avrebbero promosso il progetto stragista attraverso il coinvolgimento di Rocco Santo Filippone e Giuseppe Calabrò, che fu addestrato appositamente all’uso del mitragliatore Beretta M12, fucile utilizzato nei tre agguati ai carabinieri tra il 1993 e il 1994.
Durante il processo, l’accusa ha presentato numerose prove e testimonianze che hanno reso ancora più evidenti la complessità e la gravità del fenomeno mafioso in Italia. L’unitarietà delle organizzazioni criminali, come ha sottolineato il procuratore Lombardo, è stata confermata dal coinvolgimento di affiliati della ‘ndrangheta, di Cosa Nostra e della Camorra, presenti non solo in Italia, ma anche in altri paesi del mondo.
La conferma della sentenza di primo grado rappresenta un passo importante nella lotta contro la criminalità organizzata, soprattutto perché dimostra come gli apparati investigativi e giudiziari italiani siano in grado di smantellare le organizzazioni mafiose e di far emergere la verità.
Il processo ha anche messo in luce l’importanza della collaborazione dei pentiti e dei testimoni, che hanno contribuito a far emergere la verità sui fatti e sulle persone coinvolte. È importante sottolineare che queste persone rischiano la propria vita per fornire informazioni cruciali alle autorità, mettendo a repentaglio la loro sicurezza e quella dei loro cari. La lotta contro la mafia e il crimine organizzato in Italia deve essere basata anche sulla protezione di queste figure chiave, che rappresentano un tassello fondamentale per fare giustizia nel nostro paese.
Questo verdetto deve essere un segnale forte e chiaro alla criminalità organizzata e a coloro che tentano di mettere in pericolo la sicurezza e la libertà dei cittadini. Le istituzioni e la società civile devono continuare a lavorare insieme per contrastare il fenomeno mafioso in tutte le sue forme, garantendo la giustizia e la legalità per tutti. Solo così si potrà costruire un futuro migliore e più sicuro per il nostro paese.
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