Dalla moglie del boss al 41 bis, alla residenza in un rudere abbandonato
Oltre ai furbetti del cartellino, dei falsi invalidi e dei falsi braccianti, negli ultimi mesi l’attenzione dei carabinieri reggini si è concentrata anche sui “furbetti” del reddito di cittadinanza, le cui elargizioni, se non puntualmente controllate, possono sovvenzionare soggetti intranei o contigui alla ‘ndrangheta.
Nell’ambito dei sussidi sociali, non di rado, false certificazioni e truffe, consentono a soggetti privi dei requisiti di ottenere denaro pubblico, con evidente danno economico e sociale per la collettività, togliendo le risorse a chi ne avrebbe veramente bisogno. I carabinieri, anche grazie alla struttura capillare del territorio con le Stazioni sentinelle dei bisogni e delle necessità della popolazione, tra i numerosi altri, hanno il compito di controllare che tali aiuti pubblici arrivino nelle tasche dei cittadini onesti, in possesso dei requisiti previsti.
A tale scopo, i carabinieri della Compagnia di Taurianova, grazie al coordinato lavoro delle Stazioni dipendenti in vari comuni della Piana di Gioia Tauro, in particolare Varapodio, Giffone, Molochio, San Martino di Taurianova, Cittanova e Cinquefrondi, hanno svolto una generale azione di controllo e verifica dei percettori del reddito di cittadinanza, al fine di verificare la regolarità delle procedure attestative e quindi dell’effettivo possesso dei requisiti previsti. Da tale operazione, denominata “Dike”, dalla mitologia greca “Dea della Giustizia”, sono emerse una serie di irregolarità a carico di 18 cittadini, con un danno erariale complessivo stimato in circa 50.000 euro, che i carabinieri hanno segnalato all’Autorità Giudiziaria di Palmi, diretta dal Procuratore Capo Ottavio SFERLAZZA, e ai competenti uffici dell’I.N.P.S., che hanno immediatamente interrotto l’elargizione del
sussidio.
Variegate sono state le irregolarità emerse dagli accertamenti. Non solo cittadini che svolgevano lavoro “in nero”, pur percependo il reddito, in bar, ristoranti o in cantieri edili, ma anche un gestore di una officina meccanica del tutto abusiva, con diverse autovetture in attesa, e il proprietario di un salone di parrucchiere che non solo percepiva il reddito di cittadinanza pur lavorando regolarmente, ma si è scoperto avesse formalmente chiuso
l’attività 4 anni fa.
Altra frequente tipologia di falsa attestazione ha riguardato la reale residenza e l’indicazione dei componenti del nucleo famigliare, essendo l’elargizione connessa anche all’effettivo “reddito famigliare” e non solo del singolo richiedente: dalla cittadina che, nata, cresciuta e residente in altra regione del nord Italia, ha dichiarato falsamente di vivere in un comune della Piana di Gioia Tauro, ai cittadini rumeni che hanno “aumentato” gli anni della residenza in Italia, da 2 a 10, in modo da poter ottenere il reddito.
Tra gli altri, sicuramente emerge un pregiudicato locale che non solo ha falsificato il reale domicilio, ma negli atti compilati ha indicato come residenza un rudere fatiscente e in stato di abbandono, privo di servizi e utenze, inserito in un ampio fondo rurale.
Ancora più complessa la vicenda che ha riguardato due coniugi, separati da tempo, in cui l’uomo si è visto bocciare più volte la richiesta di reddito di cittadinanza in quanto inserito fittiziamente nel nucleo famigliare indicato nei documenti dalla ex moglie, a sua volta richiedente il sussidio.
Purtroppo, anche nelle odierne verifiche dei carabinieri della Compagnia di Taurianova è emerso un eclatante caso in cui l’elargizione sociale è stata destinata ad una donna che, nella documentazione prodotta, ha “dimenticato” di segnalare che nel nucleo famigliare non era più presente il marito, importante boss della ‘ndrangheta ristretto in carcere da 6 anni per una condanna definitiva per associazione mafiosa e sottoposto al regime
restrittivo previsto dall’art.41bis dell’ordinamento penitenziario.
I controlli sui percettori dei redditi di cittadinanza da parte dei carabinieri continueranno in tutta la provincia di Reggio Calabria al fine di contribuire a difendere e promuovere la giustizia sociale, insieme all’Autorità Giudiziaria e ai competenti uffici dell’I.N.P.S., anche nell’ambito di elargizioni economiche pubbliche.