Nella mattinata odierna i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore dott. Giovanni Bombardieri, nei confronti di 18 soggetti, ritenuti responsabili dei delitti di associazione di tipo mafioso e, a vario titolo, estorsione, truffa aggravata, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose (operazione Iris).
L’indagine, condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Reggio Calabria e coordinata dal Procuratore aggiunto, dott. Calogero Gaetano Paci, e dal Sostituto procuratore, dott.ssa Giulia Pantano, è stata avviata nell’estate del 2013 e ha consentito di delineare con straordinaria chiarezza gli assetti attuali e gli interessi criminali della cosca “ALVARO”, una delle più agguerrite cosche del mandamento tirrenico della ‘ndrangheta, di documentarne le cointeressenze con articolazioni degli altri mandamenti della provincia reggina, suffragare il ruolo egemone della famiglia “ALVARO” nell’area ricompresa tra i comuni di Oppido Mamertina, Sinopoli, Delianuova e Cosoleto.
Le acquisizioni investigative più rilevanti ruotano intorno ad un casolare di contrada Scifà di Sinopoli: ubicata lungo la SS 183 che collega Gambarie a Delianuova, “la casetta” – così indicata dagli indagati – costituisce un luogo nevralgico per la cosca “ALVARO”, connotato da continue riunioni, mascherate da “mangiate”, e da un andirivieni costante di esponenti di tutti i mandamenti di ‘ndrangheta presenti nella provincia di Reggio Calabria.
Il monitoraggio della “casetta” ha soprattutto permesso di delineare compiutamente l’organigramma della famiglia “ALVARO”, confermando le acquisizioni del procedimento “PROVVIDENZA” riguardo alla figura di Alvaro Carmine classe 1968, soprannominato “u pulice”, indiscusso capocosca detenuto colpito dal provvedimento cautelare che nel gennaio 2017 ha interessato le principali cosche della Piana di Gioia Tauro.
Figure di spicco sono i cugini di Carmine, i fratelli Antonio, Raffaele e Carmine (u bruzzise) Alvaro, che coordinano le attività criminali degli affiliati subordinati ed organizzano gli incontri con i referenti mafiosi di altre articolazioni territoriali della ndrangheta che chiedono di parlare con Alvaro Carmine “u pulice”.
Alle figure di maggior rilievo se ne affiancano altre: numerosi affiliati, alcuni dei quali già condannati per reati associativi in altri procedimenti, come Alvaro Giuseppe (“u rugnusu”), Alvaro Giuseppe (“u trappitaru”), Alvaro Carmine (“u limbici”), Alvaro Carmelo (“Carmine Bin Laden”), Alvaro Domenico, Alvaro Paolo (cl. 88), Bonforte Antonino (“u topu”), Calabrò Rocco, Sergio Francesco Paolo e La Capria Giuseppe.
Al casolare di contrada Scifà è stata registrata la presenza di esponenti di blasonate cosche della provincia di Reggio Calabria, quali i “PELLE-Gambazza” di San Luca, dei “MOLLICA” di Africo, dei “RUGOLINO” di Catona, “IETTO” di Natile di Careri, “CONDELLO” di Varapodio, “CALLEA” di Ortì, “MORABITO” (“DE STEFANO”) di Archi, “SCOPELLITI” di Melia di Scilla, senza tralasciare le cointeressenze con altri casati tra i quali i “GUADAGNINO” e i “PAPALIA” di Delianuova, i “MAZZAGATTI” di Oppido Mamertina e “LAROSA” di Giffone.
Tra questi, tre sono stati raggiunti dall’odierna misura: Rugolino Domenico, capo dell’omonima cosca operante nei quartieri reggini di Catona, Arghillà, Villa San Giuseppe, Rosalì e Spontone, insieme a Foti Giuseppe, suo subordinato, e Callea Sebastiano, esponente di spicco della cosca “CONDELLO–IMERTI”, operante nel quartiere Ortì di Reggio Calabria, ai quali viene contestata pure la stretta vicinanza alla cosca di Sinopoli, attestata dalla frequente presenza presso il “quartier generale” di contrada Scifà per condividere le strategie criminali, concordando la spartizione degli interessi illeciti e le modalità di aggressione al tessuto economico del territorio.
Le opere pubbliche e le estorsioni
L’indagine dei Carabinieri del Nucleo Investigativo ha permesso di documentare compiutamente gli interessi criminali della cosca “ALVARO” e di quelle che con esse si sono accordate. È il caso, in particolare, della riscossione del “pizzo” per i “lavori di difesa costiera tra Cannitello e Santa Trada ed in particolare in difesa del centro abitato di Porticello” nel comune di Villa San Giovanni, bandito dalla Provincia per un importo complessivo pari a 1,7 milioni di euro, per la ricarica della barriera soffolta già esistente e la realizzazione di nuovi tratti a protezione dell’abitato, particolarmente esposto alle mareggiate e al fenomeno erosivo della costa.
Aspetto di particolare valenza investigativa è il documentato accordo tra diverse compagini ‘ndranghetiste: l’illecita dazione è infatti spartita tra famiglie mafiose che si estendono su un territorio vasto che va da Sinopoli, passando per Villa San Giovanni fino a raggiungere Archi di Reggio Calabria: protagonista della vicenda è CALABRESE Domenico – già coinvolto nell’indagine “Sansone”, uomo inserito nella cosca “ZITO-BERTUCA” ma vicino agli “ALVARO” – che, in qualità di diretto esecutore delle disposizioni impartite da ALVARO Raffaele, per conto di Alvaro Carmine “u pulice”, ha riscosso i proventi dell’estorsione ai danni della ditta aggiudicataria dell’appalto provinciale e ne ha consegnato materialmente quota parte proprio alle “famiglie” di Sinopoli e di Archi.
L’episodio, però, che maggiormente testimonia la capacità di infiltrazione della cosca “ALVARO” è quello inerente i lavori di realizzazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, opera pubblica di interesse nazionale in ragione della finalità di garantire la sicurezza della connessione della rete elettrica siciliana a quella peninsulare per ridurre il rischio di black out in Sicilia, incrementando la capacità di trasporto tra la Sicilia e il continente.
In questo caso, le mire imprenditoriali del sodalizio criminale sono state estremamente pervasive e rivolte direttamente ai settori più remunerativi – movimento terra, trasporto, fornitura di inerti, mezzi e manodopera – arrivando ad assicurare il controllo del cantiere ed ottenendo introiti diretti e indiretti, attraverso le ditte riconducibili al sodalizio, incaricate delle varie forniture e dei numerosi noli.
Di fatto l’indagine ha posto in evidenza l’esistenza di un vero e proprio “accordo” tra la Roda Spa, impresa aggiudicatrice dei contratti da Terna Spa, e alcune ditte di Sinopoli, Sant’Eufemia e San Procopio, tutte collegate o riconducibili agli “ALVARO”.
Emissari della cosca sono due imprenditori, NAPOLI Saverio (amministratore di fatto della impresa della ditta Costruzioni Flores Eufemia srl) e RUGNETTA Rocco (amministratore di fatto della RR Appalti & Costruzioni srl), che hanno tenuto i contatti con i rappresentanti della Roda Spa e hanno materialmente imposto le ditte subappaltatrici, i fornitori di ferro e calcestruzzo e i servizi di cantiere in genere, assegnati, su disposizione del clan, a ditte “gradite” e ovviamente a prezzi e condizioni più sfavorevoli rispetto a quelli di mercato.
In particolare, Rugnetta assume il ruolo di garante della “sicurezza ambientale”, “proteggendo” le ditte Terna e Roda – rispettivamente committente e appaltatrice – da danneggiamenti o intimidazioni; ma è anche il “mediatore” con la pubblica amministrazione per la risoluzione di problematiche legate a violazioni di carattere amministrativo riscontrate dal Comune di Sinopoli nel suddetto cantiere, intervenendo e, in definitiva, facendo distruggere i relativi verbali di accertamento e contestazione di alcune infrazioni elevate a carico della Roda Spa.
A conferma dell’elevata caratura criminale raggiunta dagli “ALVARO” è il dato relativo alla totale assenza, nel corso dei lavori relativi all’appalto, di episodi di danneggiamento e atti intimidatori; aspetto, quest’ultimo, tanto più emblematico in considerazione dell’alta densità mafiosa dell’ampio contesto territoriale interessato dall’appalto.
Parimenti, in più occasioni sono le ditte del territorio a rivolgersi agli ALVARO per chiedere di essere incluse nelle imprese interessate dalle forniture di beni e servizi, così riconoscendo di fatto alla ‘ndrangheta il potere di regolamentazione dell’accesso ai subcontratti e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive nei territori in cui insiste la realizzazione dell’opera pubblica.
Le ingerenze della cosca nella Pubblica Amministrazione di Delianuova
Le indagini hanno in maniera doviziosa documentato la capacità degli “ALVARO” d’influenzare le scelte della pubblica amministrazione, in relazione all’attività dei comuni di Sinopoli – con riferimento al già menzionato intervento di Rugnetta per la distruzione dei verbali di contestazione elevati alla ditta impegnata nella realizzazione dell’elettrodotto – e, soprattutto, di Delianuova. Riguardo agli interessi mafiosi su quel comune, centrale si rivela la figura di ROSSI Francesco, all’epoca vicesindaco e assessore ai lavori pubblici (oggi sindaco di Delianuova e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria), anch’egli tra i frequentatori di contrada Scifà: in particolare, nell’ottobre 2013 partecipava ad una riunione in cui affrontava con gli “ALVARO” – in un clima di piena sintonia e unità di intenti con i vertici del sodalizio – questioni relative agli appalti e finanziamenti pubblici e, più in generale, a problematiche del centro urbano di Delianuova su cui la cosca esercitava la propria influenza mafiosa.
In particolare Rossi Franco aveva richiesto un intervento degli “ALVARO” su alcuni soggetti che ostacolavano la sua gestione amministrativa adducendo presunte violazioni dei patti pre-elettorali da parte del Rossi nella definizione del piano regolatore comunale e della lottizzazione della zona di Carmelia, per condurre alla caduta del governo locale nel tentativo di porsi poi in prima persona alla guida di quella amministrazione comunale.
Rossi, in pratica, aveva deciso di portare sul tavolo dei suoi interlocutori mafiosi le diverse questioni che avevano generato gli attriti in seno all’amministrazione comunale, affinché le figure apicali della cosca “ALVARO” si esprimessero nel merito, rinnovando il sostegno a Rossi e interrompendo le condotte ostruzionistiche dei suoi oppositori.
In definitiva, l’allora vicesindaco e assessore Rossi ha incarnato il ruolo di referente politico della cosca “ALVARO” in seno all’amministrazione comunale di Delianuova, “collocato” nella carica pubblica dalla ‘ndrangheta per farne gli interessi.
Operazione Iris: i sequestri
Alla luce delle complessive risultanze investigative è stato eseguito il sequestro preventivo delle seguenti società – con relativi patrimoni aziendali, quote sociali e conti correnti – riconducibili agli odierni indagati, come pure il casolare nella disponibilità della famiglia mafiosa:
- R. APPALTI E COSTRUZIONI S.r.l.
- Ditta Costruzione Flores Eufemia s.r.l.
- Immobile ubicato in Sinopoli c.da Scifà
OPERAZIONE IRIS: i nomi degli arrestati
I destinatari della misura riguardante l’operazione Iris sono:
- ALVARO Raffaele, cl. 65, “Pagghiazza”;
- ALVARO Carmine, cl. 59 “u bruzzise”;
- ALVARO Giuseppe, cl. 43 “u trappitaru”;
- ALVARO Carmine, cl. 71 “u limbici”;
- ALVARO Domenico, cl. 77;
- ALVARO Carmelo, cl. 60 “Carmine Bin Laden”;
- ALVARO Paolo, cl. 88;
- LA CAPRIA Giuseppe, cl. 71;
- ROSSI Francesco, cl. 57;
- RUGNETTA Rocco, cl. 83;
- BONFORTE Antonino, cl.57, “u topu”;
- NAPOLI Saverio, cl. 68;
- CALABRO’ Rocco, cl. 68;
- SERGIO Francesco Paolo, cl. 89;
- RUGOLINO Domenico, cl. 66;
- FOTI Giuseppe, cl. 55;
- CALLEA Sebastiano, cl. 57;
- ALVARO Giuseppe, cl. 32, “u rugnusu” (arresti domiciliari)