Il lavoro, si sa, nobilita. Ma a volte è anche fonte di guai se si ottiene attraverso gli imbrogli. E se lo fa una maestra la cosa sembra ancora più grave perché le si affidano vite di bambini, futuri adulti.
La storia ha quasi dell’incredibile e fa pensare a come le maglie della burocrazia siano sufficientemente larghe per permettere a chi volesse frodare, di farlo con molta naturalezza.
Per la maestra la condanna è per truffa
“I giudici della Corte dei Conti della Liguria hanno condannato a un risarcimento di oltre 100 mila euro R. B., 55 anni, di Vibo Valentia, residente da anni a Vezzano Ligure (La Spezia). La donna ha insegnato per anni alla scuola d’infanzia, ma era priva di abilitazione. Nel 2002 aveva autocertificato di essere in possesso dell’abilitazione. Per oltre otto anni, fino al febbraio 2011 aveva ottenuto incarichi annuali. A un controllo dell’ufficio scolastico è risultato che la donna non aveva mai sostenuto il concorso di abilitazione e aveva anche prodotto un certificato falso di partecipazione a un corso per insegnanti di sostegno. Era stata denunciata per truffa allo Stato e condannata in primo grado. Nel 2018, in appello, è stata dichiarata la prescrizione del reato. La procura contabile chiedeva la restituzione degli stipendi per oltre 151 mila euro. I giudici hanno ridotto di 50 mila euro, accogliendo in parte la richiesta difensiva: “Non vi sono state contestazioni sulla qualità delle prestazioni”.
Questa è la notizia pubblicata dall’Ansa poche ore fa e che fa riflettere su come sia facile raggirare il sistema e su cosa si è disposti a fare pur di avere un lavoro. Per fortuna, non ci sono state contestazioni sulla qualità delle prestazioni; il che fa pensare che almeno il suo lavoro lo facesse con dedizione. Purtroppo, non credo che chi è in attesa in una lista o è attualmente disoccupato possa giustificare il gesto.