Lavoro e Home Food, cos’è un’impresa alimentare domestica (IAD) e i requisiti per realizzarla

cucina, donna
cucina, donna

La pandemia ha aperto nuove frontiere nel mondo del lavoro. Soprattutto per la paura di contagiarsi tanta gente si è vista costretta a lavorare a casa; alcuni hanno perso il lavoro e si sono dovuti inventare nuove formule per fronteggiare la crisi.

C’è chi non trovando lavoro se lo crea da solo, con un po’ di inventiva e un po’ di buona sorte e volontà.

Da un po’ di giorni, le testate giornalistiche stanno parlando di Ilaria Carone, una ragazza pugliese che ha aperto e avviato con un discreto successo un piccolo laboratorio di pasticceria dentro casa sua. I suoi clienti vengono al laboratorio e acquistano direttamente da lei ciò che prepara all’interno della sua cucina ricavata in una stanza della casa dove vive; in questo modo si crea un rapporto più confidenziale tra il titolare della piccola attività e chi acquista il prodotto finito.

Un’idea abbastanza insolita sebbene esista una legge che la prevede.

Che cos’è la IAD, Impresa Alimentare Domestica?

IAD è  un acronimo e sta per “impresa alimentare domestica“. Si tratta di un’attività casalinga svolta artigianalmente che consente la preparazione e la vendita a casa e che permettere di vendere ai clienti senza però alcun tipo di somministrazione sul posto.

È una vera e propria attività imprenditoriale da svolgere a casa propria, destinata a realizzare prodotti alimentari, dolci o salati, seguendo però – e lo diciamo subito – delle direttive specifiche non facili e immediate.

Sembra una novità eppure non lo è. Infatti, questa tipologia di attività artigianale è regolamentata e riconosciuta in Italia sin dal 2004, seguendo un trend d’oltreoceano noto come Home Food. È rivolta a chi è appassionato di cucina e intende fare del proprio hobby una fonte di guadagno, a metà strada tra l’essere professionista e dedicarsi ai fornelli come un dilettante. Gli investimenti sono relativi, il vantaggio è che la propria cucina diventa un vero laboratorio in grado di creare un mestiere.

Dal sogno alla realtà: quali sono i requisiti per aprire una IAD e i suoi costi

Intanto, occorre precisare che in Italia c’è molta attenzione all’aspetto igienico sanitario. Questo potrebbe essere un limite per l’imprenditore che deve vedersela con le tante norme e nello stesso tempo una sicurezza per chi acquista.

Esistono delle regole per la conservazione dei cibi e anche per la pulizia degli ambienti destinati al laboratorio, esattamente come in un’attività più professionale. Questo non è banale e scontato perché ha delle limitazioni e dei costi, soprattutto in un Paese come il nostro basato sulla burocrazia.

Ogni tipologia di alimento ha regole igieniche e di sicurezza alimentare differenti che devono essere rispettati, il rischio è di incorrere in multe salate e anche nella chiusura dell’attività.

Quindi, prima di affrontare concretamente l’idea di aprire una IAD occorre informarsi bene sia della regolamentazione sia dei costi che si dovranno affrontare. Sicuramente, un consulente può aiutare, ma è ovviamente un costo.

Il primo step riguarda l’ASL. Infatti, occorre chiedere l’autorizzazione all’Azienda Sanitaria Locale di competenza dove si deve presentare la domanda, prendendo informazioni importanti.

Ecco a grandi linee, i passi da affrontare:

  • Richiedere e ottenere l’autorizzazione dalla propria ASL di competenza;
  • Presentare i documenti al SUAP (sportello unico delle attività produttive) la SCIA, cioè la segnalazione di inizio attività;
  • Svolgere un corso di HCCP come responsabile di impresa e ottenere il certificato idoneo;
  • Aprire una Partita IVA e registrarsi presso la Camera di Commercio come Regime Forfettario;
  • Avere la residenza nell’abitazione in cui esiste il laboratorio;
  • Fare preparazione alimenti dolci e/o salati senza somministrazione.

– Tipologie di prodotti alimentari

  • Prodotti preincartati: sia sfusi che confezionati a seconda delle esigenze dell’acquirente;
  • Prodotti preconfezionati: devono essere confezionati e sigillati per evitare contaminazioni e alterazioni.

Le etichettature sono necessarie e/o obbligatorie a secondo del prodotto cucinato.

– Tipologia di locali

La cucina deve avere delle misure previste per legge. In generale, deve essere abitabile e deve avere un bagno e un antibagno. Tutti i locali vanno notificati presso l’ASL.

Ci deve essere la possibilità di igienizzare e disinfettare le pareti fino a 2 metri e anche i piani di lavoro e i pavimenti.

– Costi

I costi possono putroppo variare. Se non si possiedono i locali adatti si tratta di dover organizzare e implementare un laboratorio in affitto, ovviamente. Già questo potrebbe essere un deterrente al quale andrebbero aggiunti magari costi di benzina e di utenze.

Gli altri obblighi sono: apertura Partita IVA, pagamento di un consulente per SCIA, certificato HACCP e relativo corso HACCP, eventuali modifiche o acquisti per rendere la propria cucina “legale”. Il tutto si potrebbe aggirare tra i 2mila e i 4mila euro, come minimo.

Tutto ciò escluso gli eventuali costi di adeguamento della casa, attrezzature domestiche in primis.

I sogni sono desideri, diceva qualcuno, ma avere i piedi ben piantati per terra è già un buon inizio per reaizzarli.

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Sito Associazione IAD Italia