Educarsi per un futuro incerto: povertà educativa e giovani in Italia
Troppi bambini non hanno l’opportunità di visitare mostre, andare al cinema, leggere un libro o praticare sport. L’impoverimento culturale è in netto aumento, riflesso dalle peggiori condizioni economiche e sociali delle famiglie. Uno su sette minori lascia la scuola in modo prematuro, mentre altri ragazzi non riescono a acquisire competenze di base al termine del loro percorso educativo. Questi bassi livelli di apprendimento e l’abbandono scolastico sono strettamente legati alla condizione dei Neet: giovani individui che né studiano, né lavorano, né si impegnano in formazione. Recenti notizie che coinvolgono giovani, come gli stupri a Palermo e Caivano, mettono in luce il problema della povertà educativa in un’Italia che ancora una volta mostra le disparità tra Nord e Sud, centri urbani e periferie.
La povertà economica e quella educativa si alimentano reciprocamente e si tramandano di generazione in generazione, come evidenziato dall’associazione Con i bambini, che osserva questo fenomeno da anni. In Italia, quasi 1,4 milioni di minori vivono in povertà assoluta, mentre altri 2,2 milioni vivono in povertà relativa. Mentre in passato gli anziani erano i più vulnerabili alla povertà fino al 2005, i tassi di povertà assoluta sono ora in aumento tra i gruppi di età più giovani. La povertà educativa è un problema complesso, spiega l’associazione Con I Bambini, “risultato del contesto economico, sociale e familiare in cui vivono i bambini più piccoli”. Il suo impatto non riguarda solo gli individui; influisce sul futuro e sullo sviluppo della nazione. Coinvolge tutte le fasce d’età, a partire dalle scuole dell’infanzia, la cui presenza o assenza segna già una differenza significativa.
In Italia, il 23,1% dei giovani tra i 15 e i 29 anni si trova nella condizione dei Neet (Not in Employment, Education or Training), fuori da qualsiasi percorso lavorativo, formativo o di istruzione. La percentuale è la più alta dell’Unione Europea, oltre il doppio di quella di Francia e Germania. Il 12,7% degli studenti non raggiunge il diploma, abbandonando in modo precoce gli studi (nel Sud si arriva al 15%). C’è poi il 9,7% del totale, quasi uno studente diplomato su dieci nel 2022, “senza le competenze minime necessarie per inserirsi nel mondo del lavoro o dell’Università”, sottolinea Save the Children.
Laddove la povertà minorile è più elevata, sarebbe essenziale un’offerta formativa di qualità, ma “la scuola è più povera, privata del tempo pieno, delle mense e delle palestre”, osserva Save the Children, che stima che siano necessari 1 miliardo e 445 milioni di fondi per garantire il tempo pieno in tutte le classi della scuola primaria statale.
L’emergenza Covid ha peggiorato molti indicatori anche in questo ambito. Una delle conseguenze della pandemia è stato l’aumento della dispersione implicita, termine con cui si intende “la percentuale di studenti che terminano il loro percorso scolastico con competenze di base inadeguate in tutte le materie valutate nei test Invalsi (italiano, matematica e inglese)”. La percentuale di ragazzi con competenze inadeguate, secondo i dati di Openpolis, è passata dal 7,5% nel 2019 al 9,8% nel 2021. Tuttavia, i test Invalsi del 2022 sembrano indicare una stabilizzazione (9,7%), ma non un ritorno ai livelli pre-Covid. Concludere gli studi con competenze scarse porta più facilmente all’abbandono scolastico, al limbo dei Neet e alla rinuncia a costruire un futuro migliore.
Le Disuguaglianze Territoriali nella Dispersione Scolastica Nel 2022, le regioni in cui la dispersione implicita è stata più elevata, secondo i dati di Openpolis, sono state la Campania (19,8%), la Sardegna (18,7%), la Calabria (18%) e la Sicilia (16%), regioni che sono sopra la media anche per la quota di giovani che hanno lasciato la scuola con al massimo la licenza media. L’abbandono scolastico ha una media nazionale del 12,7%, con punte in Sicilia (21,1%) e Puglia (17,6%) e valori più elevati rispetto al Centro e al Nord, anche in Campania (16,4%) e Calabria (14%), come osservato da Save the Children.
Questa situazione colpisce soprattutto le ragazze e i ragazzi provenienti dalle famiglie più fragili dal punto di vista economico, culturale e sociale, e affligge principalmente, come è evidente, le zone del paese più svantaggiate e fortemente segnate dalle disuguaglianze, in particolare il Sud, le isole e le zone interne.
Nel Limbo sono più Presenti le Ragazze e chi Abita al Sud In Italia, circa 1,7 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni sono Neet, ovvero non studiano e non lavorano: in un paese in cui la popolazione invecchia, ciò è visto come un enorme spreco di potenziale. Anche in questa categoria vi è una disparità di genere: il fenomeno dei Neet interessa maggiormente le ragazze (20,5%) e i residenti del Mezzogiorno (27,9%). Openpolis sottolinea che le 9 province in cui oltre il 35% dei giovani è Neet si trovano tutte al Sud: in testa ci sono Caltanissetta (46,3%), Taranto, Catania, Napoli, Messina, Palermo, Siracusa, Foggia e Catanzaro.
Tra i principali fattori di rischio per finire nella condizione dei Neet sono stati individuati un basso rendimento scolastico, una famiglia con basso reddito, un genitore con periodi di disoccupazione, crescere con un solo genitore, essere nati in un Paese al di fuori dell’Unione Europea, vivere in zone rurali e avere una disabilità.
L’appello del Moige: “L’istruzione deve essere accessibile a tutti” Le associazioni che si occupano da anni di questo tema sottolineano che contrastare la dispersione scolastica deve essere una priorità per il Paese. “Senza dubbio, la parte più fragile del sistema è rappresentata dalle scuole superiori”, afferma Elisabetta Scala, vicepresidente del Moige. “In primo luogo, perché non c’è un corretto orientamento e molti ragazzi scelgono la scuola sbagliata, che li porta poi a rinunciare”. In accordo con i principi sanciti dalla Costituzione italiana, l’istruzione deve essere accessibile a tutti, ma “sta diventando sempre più costosa, a partire dai libri di testo”, osserva il Moige. E quando uno studente incontra difficoltà, le lezioni private diventano un onere insostenibile per le famiglie, e molti finiscono per restare indietro. Invece, conclude il Movimento Italiano Genitori, “dovrebbero essere valorizzate le scuole che accompagnano tutti gli studenti, ciascuno secondo le proprie capacità. Serve un aggiornamento del metodo didattico ma anche una stretta collaborazione tra scuola e famiglia”.
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