Caccia libico abbattuto nei monti della Sila

Caccia Libico MiG-23MS
Caccia Libico MiG-23MS

Il caccia libico MiG-23 è caduto il 18 luglio, come sostenuto dalla versione ufficiale oppure il 27 giugno 1980?

L’incidente del MiG-23 dell’Aeronautica militare libica del 1980, noto anche come incidente aereo di Castelsilano, si verificò il 18 luglio 1980 vicino a Castelsilano, in Calabria. Un MiG-23MS dell’Aeronautica militare libica fu coinvolto nell’incidente, e il corpo del pilota Ezzedin Fadah El Khalil venne ritrovato privo di vita poco distante dai rottami. Le versioni ufficiali, sia del governo libico sia di quello italiano, ipotizzarono un malore del pilota che, dopo aver innestato il pilota automatico, sarebbe precipitato una volta esaurito il combustibile. Sono emerse anche ipotesi alternative sulle cause dell’incidente. In particolare, sono state avanzate supposizioni riguardo a possibili collegamenti con la strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno dello stesso anno. Il ministro della difesa Giovanni Spadolini, in carica dal 1983 al 1987, affermò che risolvere il mistero del MiG avrebbe potuto far luce sulla strage di Ustica.

Storia e testimonianze di allora

Il 18 luglio 1980, intorno alle 11:00, alcuni abitanti di Castelsilano osservarono un velivolo volare a bassa quota e poco dopo udirono un boato seguito da pennacchi di fumo. Addolorata Carchidi e Francesco Marano furono testimoni parziali dell’incidente. Carchidi riferì di aver visto l’aereo provenire da Belvedere di Spinello – Cerenzia Vecchia, volare a quota bassissima e scomparire dietro un’altura. Successivamente, sentì uno scoppio e vide le fiamme che si propagavano. Circa tre quarti d’ora dopo, notò un secondo aereo che volava in senso contrario. Carchidi sottolineò che il primo aereo faceva meno rumore rispetto agli altri. Marano confermò un’ora approssimativa intorno alle 11 e il suo racconto si sovrapponeva a quello di Carchidi. Né loro né gli altri testimoni che riferirono di un aereo in sorvolo e di un boato di esplosione videro effettivamente il velivolo schiantarsi al suolo. Un terzo testimone, il pastore Giuseppe Piccolo, vide un velivolo a bassa quota sfiorare una collina e poi fare una manovra per evitare un costone prima di tornare verso Castelsilano. Piccolo descrisse il velivolo come di piccole dimensioni e con il motore in funzione.

Analisi giudiziaria dell’incidente del caccia libico MiG-23

Secondo l’inchiesta condotta dal giudice Rosario Priore sulla strage di Ustica, la versione ufficiale presentata dalla commissione italo-libica sembra essere confutata da testimonianze e circostanze che suggeriscono una data di caduta del velivolo libico molto vicina alla tragedia del DC-9.

Tra queste, il referto autoptico di Anselmo Zurlo ed Erasmo Rondanelli giocò un ruolo importante. I due patologi descrissero lo stato di decomposizione avanzato della salma del pilota, ma stabilirono la data della morte come il 18 luglio. Un supplemento di perizia retrodatato, basato sullo stato di decomposizione, non è presente tra gli atti della Procura di Crotone ma solo tra quelli del giudice Priore. Altre testimonianze raccolte sul luogo e nelle zone circostanti riportavano l’evento a una data vicina o coincidente con la scomparsa del volo Itavia.

Inoltre, nel 1999 è stata avanzata l’ipotesi che il cadavere del pilota potesse essere stato conservato in una cella frigorifera presso l’aeroporto militare di Gioia del Colle.

L’indagine tecnica condotta dall’inquirente riguardante le condizioni meteorologiche del 18 luglio e le caratteristiche del pilota automatico del caccia libico MiG-23 ha concluso che l’aereo sarebbe dovuto cadere più a ovest e molto prima di raggiungere le coste calabresi. Anche la corrispondenza tra la traccia radar rilevata da Otranto è stata considerata incompatibile con quanto affermato nella relazione della commissione italo-libica.

La copia della pellicola della scatola nera a disposizione dell’autorità giudiziaria non conteneva registrazioni sull’angolo di prua o sulla data di volo, mentre l’originale era stato consegnato al SIOS e non era più disponibile per confronti durante le indagini.

In una lettera datata 9 dicembre 1988, lo Stato Maggiore della Difesa affermava che il 18 luglio 1980 si era svolta un’esercitazione NATO chiamata Natinad – Demon Jam V nell’area di competenza del 3º ROC di Martina Franca. Questa esercitazione prevedeva l’utilizzo di velivoli che simulavano operazioni di penetrazione nel territorio nazionale in presenza di disturbo elettronico, con intervento di velivoli intercettori. Durante l’esercitazione, non si verificò alcun problema.

Secondo l’istruttoria del giudice Priore, l’esercitazione in corso il 18 luglio 1980 e lo stato di allerta che ne derivava, sia per la rete radar che per gli intercettori in volo, rendevano incompatibile la presenza di un aereo estraneo non identificato nell’area, almeno secondo le modalità descritte dalla Commissione Italo-Libica: pilota svenuto o deceduto, volo rettilineo ad alta quota, condizioni che avrebbero reso l’aereo visibile a tutti i radar.

In sintesi, secondo l’inchiesta condotta dal giudice Priore, diverse testimonianze e circostanze sembrano confutare la versione ufficiale presentata dalla commissione italo-libica sulla caduta del velivolo libico. Tra le evidenze citate vi sono il referto autoptico, la retrodatazione della morte del pilota basata sullo stato di decomposizione, altre testimonianze raccolte sul luogo e nelle zone circostanti, nonché incongruenze nella relazione tecnica e nella copia della pellicola della scatola nera. Inoltre, si menziona un’esercitazione NATO in corso quel giorno che avrebbe reso improbabile la presenza di un aereo non identificato nelle modalità descritte dalla commissione.

Testimonianze discordanti rispetto al rapporto ufficiale dell’Aeronautica

L’avvocato Enrico Brogneri dichiarò di aver visto un aereo militare sorvolare Catanzaro la sera del 27 giugno 1980, stessa data della caduta del DC-9 Itavia. Descrisse l’aereo come una sagoma compatta a forma di triangolo equilatero, senza armamento, in planata con luci e motori spenti. In seguito, Brogneri sospettò che a Castelsilano ci fosse stato un depistaggio per dissociare l’episodio del MiG dalla caduta del DC-9 e attribuire la responsabilità al leader libico Mu’ammar al-Gheddafi. L’avvocato informò il giudice Priore di queste informazioni e chiese un’indagine sul possibile scambio del velivolo caduto con un altro tipo di aereo.

La testimonianza di Filippo Di Benedetto, ex-caporale che prestava servizio di leva presso la caserma Settino di Cosenza, confermò che il 28 giugno 1980 fu inviato nella zona di Castelsilano dove era caduto un aereo da guerra contemporaneamente al DC-9 Itavia. Altri militari testimoniarono di aver effettuato servizi di sorveglianza sul caccia libico MiG-23 a fine giugno 1980. Le testimonianze dei sottufficiali Nicola De Giosa e Giulio Linguanti suggerivano che il MiG fosse stato colpito da mitragliate, indicando che la caduta del MiG avvenne in circostanze diverse da quanto ufficialmente dichiarato.

Questi eventi convergono nell’ipotesi che il caccia libico potesse essere stato coinvolto, direttamente o indirettamente, nella caduta dell’aereo civile italiano.

L’incidente del caccia libico e le incognite irrisolte

l’incidente del caccia libico nei monti della Sila è un evento avvolto da molte incertezze e controversie. Le testimonianze raccolte hanno sollevato dubbi sulle informazioni ufficiali fornite dalle autorità, suggerendo la possibilità di una diversa data di caduta del velivolo libico e il coinvolgimento di altre forze nella tragedia del volo Itavia. Le discrepanze tra le prove e i rapporti ufficiali hanno alimentato teorie del complotto e hanno reso ancora più complesso l’investigazione sull’incidente. Nonostante gli sforzi degli inquirenti, molte domande sono rimaste senza risposta, lasciando l’incidente del caccia libico nei monti della Sila come un mistero irrisolto.