Come i pentiti stanno cambiando la prospettiva sulla ‘ndrangheta in Calabria
L’EDITORIALE – La criminalità organizzata è un fenomeno che affligge molte parti del mondo, ma in Italia si è manifestata in modo particolarmente violento e pervasivo. La Calabria, in particolare, è una regione in cui le cosche mafiose hanno esercitato il loro potere per decenni, creando un clima di paura e intimidazione. Uno degli aspetti più inquietanti della criminalità organizzata è il suo legame con le minoranze etniche, in particolare con i Rom, che spesso vengono sfruttati come manovalanza per attività illegali come l’estorsione.
A Catanzaro, la cosca di Isola Capo Rizzuto ha fatto uso dei Rom come braccio armato per molti anni, pagandoli con una parte dei proventi dell’estorsione. Tuttavia, nel 2014, le cose sono cambiate. Le cosche crotonesi hanno smesso di pagare i Rom, che si sono ribellati e hanno cominciato a gestire le loro attività illegali in modo autonomo. Questo ha creato tensioni tra le diverse fazioni criminali, culminate nell’uccisione di Domenico Bevilacqua, alias “Toro Seduto”, nel giugno del 2015.
Gli interrogatori dei collaboratori di giustizia hanno rivelato molti dettagli sul funzionamento della cosca di Isola Capo Rizzuto e sulla sua relazione con i Rom. In particolare, si è scoperto che Pino Lobello svolgeva un ruolo di collegamento tra le imprese che dovevano pagare l’estorsione e la famiglia mafiosa di Isola di Capo Rizzuto che doveva ricevere il pagamento. Le intercettazioni hanno inoltre mostrato come i Rom si sono ribellati alle cosche isolitane a causa della mancata condivisione dei proventi dell’estorsione.
Col tempo le cose cambiano. Nel 2019, dopo una riunione tra il referente della cosca isolitana, Mario Gigliotti, e i Rom, è stato deciso che le attività estorsive appartenenti alle cosche isolitane dovevano essere ancora gestite da queste, mentre le nuove attività intraprese dai Rom sarebbero state gestite da loro stessi, senza l’influenza di altri gruppi criminali. Ciò suggerisce che i Rom abbiano acquisito maggiore potere e autonomia all’interno del mondo criminale calabrese.
Nell’editoriale di oggi vogliamo offrire un’occasione per riflettere sui rapporti tra la criminalità organizzata e le minoranze etniche. I Rom sono spesso considerati una popolazione marginale e vulnerabile, ma in realtà possono essere anche coinvolti in attività illegali, come dimostrano i fatti di Catanzaro. È importante, quindi, combattere la criminalità organizzata senza discriminare nessuno sulla base dell’origine etnica o culturale.
Inoltre, contrassegniamo l’importanza dei collaboratori di giustizia nella lotta alla criminalità organizzata. Sono persone che hanno deciso di rompere il silenzio e di collaborare con la giustizia, spesso mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei loro cari. Tuttavia, sono anche fonte di informazioni preziose per le forze dell’ordine e per i magistrati che cercano di smantellare le organizzazioni criminali. Senza la loro collaborazione, molte attività illegali rimarrebbero impuniti e il potere delle cosche mafiose rimarrebbe intatto.
La criminalità organizzata è un fenomeno complesso e in continua evoluzione. Le alleanze e i rapporti di forza tra le diverse fazioni criminali possono cambiare rapidamente, a seconda delle circostanze. È quindi importante che le forze dell’ordine e i magistrati restino sempre vigili e pronti ad adattarsi alle nuove situazioni, al fine di combattere efficacemente la criminalità organizzata.
Collaboratori di giustizia fondamentali nelle indagini di ‘ndrangheta
I collaboratori di giustizia rappresentano un’importante risorsa nelle indagini contro la ‘ndrangheta e la criminalità organizzata in generale. Grazie alla loro collaborazione, le forze dell’ordine possono avere accesso a informazioni preziose sulle attività illegali delle organizzazioni criminali, sui loro rapporti con altre organizzazioni, sui nomi dei membri, sulla gerarchia e sulle modalità di operazione.
Tra i casi più noti di collaboratori di giustizia nella lotta contro la ‘ndrangheta c’è senz’altro quello di Francesco Fonti, che ha contribuito alla condanna di importanti esponenti della ‘ndrangheta calabrese come Domenico Oppedisano, il capo della cosca di Rosarno. Fonti, ex appartenente alla cosca di Platì, ha collaborato con la giustizia rivelando importanti informazioni sulle attività illegali della cosca, tra cui estorsioni, traffico di droga e di armi.
Un altro importante collaboratore di giustizia è stato Carmine Schiavone, ex membro della camorra, che ha rivelato importanti informazioni sulla struttura e sulle attività illegali della camorra e sulla sua infiltrazione nella politica e nell’economia locale. Grazie alla sua collaborazione, sono stati arrestati importanti esponenti della camorra e smantellate alcune delle sue attività illegali.
In sintesi, i collaboratori di giustizia sono una risorsa preziosa nella lotta contro la ‘ndrangheta e la criminalità organizzata in generale. Grazie alla loro collaborazione, le forze dell’ordine possono accedere a informazioni preziose che altrimenti sarebbero difficili da ottenere, contribuendo così a smantellare le organizzazioni criminali e a garantire maggiore sicurezza e legalità alla società.
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