L’impronta di Giorgio Napolitano sulla Repubblica Italiana
L’EDITORIALE – È con profonda tristezza che oggi ci troviamo a discutere della scomparsa del Presidente Emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Indubbiamente, è stato un gigante della politica italiana, ma la sua presidenza ha destato altrettanta controversia, con alcune delle sue decisioni e posizioni che hanno scatenato vive polemiche, rimanendo al centro delle cronache politiche.
Stilare un bilancio della presidenza di Giorgio Napolitano non è un compito semplice, in quanto emerge un quadro a tinte chiaroscure, che in alcuni aspetti può ricordare il mandato di Francesco Cossiga (1985-1992). Il suo mandato è iniziato dopo le incerte elezioni del 2006, che hanno portato alla formazione del secondo governo Prodi. Successivamente, ha dovuto convivere con il quarto governo di Silvio Berlusconi, il quale ha potuto agire senza grossi impedimenti, approvando leggi ad personam che hanno sollevato numerose critiche.
Tra le ombre della sua presidenza, dobbiamo menzionare la delegittimazione del referendum sulle trivelle e il suo sostegno ai referendum sulla Riforma costituzionale. Ma, va detto che Giorgio Napolitano è stato il primo Presidente della Repubblica a essere rieletto, mantenendo un alto prestigio di fronte all’opinione pubblica. Ha interpretato il suo ruolo con forza e determinazione, senza mai oltrepassare i limiti costituzionali, approfittando della flessibilità della figura del Capo dello Stato nella Costituzione italiana.
Napolitano, Berlusconi e la sospetta manovra politica del 2010
Uno degli episodi più controversi della sua presidenza è stato l’impasse politica del novembre 2010, quando la maggioranza di centrodestra collassò, portando alle dimissioni di Berlusconi. Il Presidente Napolitano, in accordo con Gianfranco Fini e Renato Schifani, fece slittare la discussione sulle mozioni di sfiducia di un mese, consentendo a Berlusconi di raccogliere nuovi appoggi e ottenere la fiducia in parlamento. Questo episodio sollevò sospetti di manovre politiche dietro le quinte per evitare la crisi di governo e le elezioni anticipate.
Il Ruolo di Napolitano nella Crisi del 2011 e il ‘Governo del Presidente’
Le sfide economiche e politiche che hanno colpito l’Italia nel 2011 hanno evidenziato il ruolo di Napolitano. Le dimissioni di Berlusconi e la formazione del Governo Monti sono stati visti da alcuni come un complotto orchestrato dal Presidente Napolitano. Il “Governo del Presidente” è diventato un termine comune per descrivere l’esecutivo tecnico. Napolitano ha imposto politiche austere al Parlamento, anche se in passato aveva una storia politica non social-democratica ma comunista. Questo cambiamento di orientamento politico ha sorpreso molti, ma può essere compreso alla luce del crollo dell’Unione Sovietica e del riconoscimento da parte di Napolitano della sconfitta di quella ideologia.
Napolitano, il comunista preferito di Kissinger
Napolitano è noto per essere stato il primo comunista italiano a ottenere un visto per gli Stati Uniti nel 1978, grazie all’intercessione di Giulio Andreotti. Questo fatto gli valse il soprannome di “comunista preferito” da parte di Henry Kissinger. Questo episodio segnò anche l’inizio di un cambiamento nelle posizioni politiche della sinistra italiana, con una parte della stessa che abbracciò politiche di privatizzazione per ottenere legittimazione politica.
Il New York Times attribuì a Napolitano il soprannome di “Re Giorgio”
Il suo mandato come Presidente della Repubblica è stato caratterizzato da un’immagine di figura osannata e quasi intoccabile, paragonabile a quella di un monarca. Tuttavia, alcune controversie hanno segnato il suo periodo in carica. Un esempio è il cosiddetto “Savoiagate,” un’inchiesta che coinvolgeva Vittorio Emanuele di Savoia e che portò Napolitano a richiedere il fascicolo personale di un magistrato, sollevando preoccupazioni sulla sua volontà di influenzare il processo giudiziario.
Distrusse le telefonate con l’indagato Mancino
Uno dei momenti più controversi del suo mandato è stato il suo coinvolgimento nella cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia.” Nel 2012, Napolitano sollevò un conflitto di attribuzione senza precedenti contro la procura di Palermo, che stava indagando su questa trattativa. Durante le indagini, furono intercettate conversazioni tra Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, che era indagato per falsa testimonianza. Napolitano chiese la distruzione di queste intercettazioni, suscitando sospetti sulla sua volontà di ostacolare l’inchiesta.
La Procura di Palermo aveva sostenuto che queste intercettazioni non erano rilevanti per il procedimento, ma la richiesta del Colle di distruggerle sollevò interrogativi sulla trasparenza dell’ex Presidente. Alcuni si chiesero se Napolitano, un Capo dello Stato che affermava di non avere nulla da nascondere, avrebbe fatto meglio a rendere pubbliche quelle registrazioni.
Le domande su Napolitano, la sua gestione delle indagini e la sua ambiguità politica rimarranno senza risposta, gettando una luce controversa sulla sua eredità. La sua morte suscita riflessioni sulla sua lunga carriera politica e sulla sua influenza sulla politica italiana, ma lascia anche un’eredità complessa e dibattuta.
In conclusione, la presidenza di Giorgio Napolitano è stata un periodo di luci e ombre, caratterizzato da decisioni controverse e una forte presa di posizione in momenti critici della storia italiana. Nonostante abbia abdicato alla sua carica nel 2015, il suo impatto sul panorama politico italiano rimane ancora oggi un tema di dibattito e riflessione costante.