La storia dei martiri della scorta di Falcone nella strage di Capaci

scorta di Falcone
Scorta di Falcone: Rocco Dicillo (nella foto a sinistra), Antonio Montinaro (al centro) e Vito Schifani (a destra)

L’eredità di coraggio della scorta di Falcone

L’EDITORIALE – Oggi, in occasione dei funerali delle vittime della Strage di Capaci, abbiamo deciso di approfondire la storia degli agenti della scorta di Falcone. Attraverso questo articolo, vogliamo rendere omaggio a questi uomini coraggiosi che hanno sacrificato le proprie vite nella lotta contro la mafia. Esploreremo le loro storie, il loro impegno e il loro coraggio senza limiti, che li hanno portati a difendere la giustizia e la legalità fino all’ultimo respiro. Scopriremo il loro ruolo cruciale nella protezione di Giovanni Falcone e l’impatto duraturo che hanno avuto sulla società italiana. Prendiamo un momento per ricordare e onorare questi veri eroi che hanno dato tutto per il bene comune. LEGGI ANCHE: 25 maggio 1992: Palermo ricorda i funerali delle vittime della Strage di Capaci

VITO SCHIFANI (nella foto in alto a destra) era un agente della scorta di Giovanni Falcone e fu ucciso a soli 27 anni nella strage di Capaci, il 23 maggio 1992. Era al volante della prima delle tre Fiat Croma che accompagnavano il magistrato appena atterrato a Palermo. Nell’esplosione, l’agente e i suoi due colleghi, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, persero la vita istantaneamente e la loro auto fu sbalzata oltre dieci metri fuori dalla strada, in un giardino di ulivi. Vito lasciò la moglie Rosaria Costa, all’epoca 22enne, e un figlio di appena 4 mesi, che oggi è un Capitano della Guardia di Finanza. Le parole pronunciate da Rosaria durante i funerali del marito, di Falcone, della Morvillo e degli altri agenti della scorta, sono entrate nel cuore di ognuno e ancora oggi vengono ripetute nelle scuole per mantenere vivo il ricordo di quella strage vile e assurda. “Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato… chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare… ma loro non cambiano… […] …loro non vogliono cambiare…”.

Nel 2007, lo Stadio delle Palme di Palermo è stato intitolato a Vito Schifani, ricordando la sua natura di atleta e specialista dei 400 metri. Lo Stato ha onorato il sacrificio di Vito e riconosciuto i suoi familiari con la legge n. 302/90 e il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla legge n. 512/99.

ROCCO DICILLO (nella foto in alto a sinistra) era nato il 13 aprile 1962 a Triggiano, in provincia di Bari, ed era un agente scelto di Polizia. Dopo aver superato il concorso in Polizia, interruppe gli studi universitari e fu destinato a Bolzano, sua prima sede di servizio. Nel 1989 entrò a far parte del servizio Scorte. Il 21 giugno 1989, insieme ad altri uomini della scorta, sventò il primo attentato alla vita di Giovanni Falcone, scoprendo una borsa di esplosivo abbandonata sulla spiaggetta della villetta affittata dal magistrato all’Addaura, in Sicilia. Rocco era alla guida della Fiat Croma che precedeva l’autovettura guidata da Falcone e fu investito in pieno dalla deflagrazione dell’attentato. Nell’esplosione, l’agente perse la vita istantaneamente. Rocco Dicillo testimoniò con la propria vita il suo rifiuto dell’illegalità e della violenza, dedicandosi alla difesa dello Stato. Avrebbe dovuto sposarsi il 20 luglio 1992. È sepolto nel cimitero del suo paese natale, dove gli sono state intitolate una piazza e una via. Ogni anno, nel mese di giugno, viene organizzata una Biennale d’arte a lui dedicata, con il sottotitolo “cittadini a regola d’arte“. Vie a lui sono state intitolate anche nei comuni di Bari, Palermo e Noicattaro (BA). L’Aula Magna dell’I.T.I.S. “Luigi dell’Erba” di Castellana Grotte (BA), frequentata da Rocco prima di entrare in polizia, porta il suo nome. Lo Stato ha riconosciuto il suo sacrificio conferendogli la medaglia d’oro al valore civile e riconoscendo i suoi familiari con la legge n. 302/90 e il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla legge n. 512/99.

ANTONIO MONTINARO era un Assistente della Polizia di Stato e ricopriva il ruolo di capo della scorta di Giovanni Falcone. Viaggiava nell’auto guidata da Vito Schifani. Originario di Lecce e figlio di un pescatore, Antonio aveva 30 anni quando, il 23 maggio 1992, perse la vita nell’esplosione sull’autostrada A29, all’altezza dello svincolo per Capaci. Lasciò la moglie Tina, oggi una delle promotrici dell’associazione vittime di mafia, e due bambini. Antonio era un professionista nel suo lavoro e affrontava con coscienza i rischi che comportava la sua mansione di scorta del giudice Falcone. In una delle sue riflessioni, disse: “Chiunque fa questa attività, ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana”. Antonio Montinaro rappresentava un uomo consapevole dei rischi che correva, ma innamorato dello Stato, e divenne un esempio di coraggio e dedizione per la Polizia di Stato. In sua memoria, il Comune di Calimera ha intitolato una piazza e eretto un piccolo monumento costituito da un masso estratto dal luogo dell’attentato e da un albero di mandarino di Sicilia. Lo Stato ha riconosciuto il suo sacrificio conferendogli la medaglia d’oro al valore civile e riconoscendo i suoi familiari con la legge n. 302/90 e il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla legge n. 512/99.

Eroi della scorta di Falcone: oltre il sacrificio

Oggi, abbiamo voluto rendere omaggio a questi uomini coraggiosi che hanno sacrificato le proprie vite nella lotta contro la mafia.

La strage di Capaci è stata un momento di sconcerto e indignazione, ma ha anche rafforzato la volontà dello Stato e della società civile nel combattere la criminalità organizzata.

Ricordiamo Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro come eroi che hanno dato il massimo per proteggere la nostra società dal male della mafia. Le loro storie di dedizione e sacrificio sono esempi che dobbiamo tramandare alle future generazioni, affinché possano comprendere l’importanza di combattere la criminalità organizzata e preservare la nostra democrazia.

La strage di Capaci non sarà mai dimenticata. Ricordiamo con gratitudine questi eroi e continuiamo a lottare per un’Italia libera dalla mafia, in cui i valori di giustizia e legalità possano trionfare. La loro memoria ci sprona a perseguire una società migliore, in cui ognuno possa vivere senza paura e con la certezza di un futuro più giusto e sicuro.