La storia di Pino, 32 anni di manicomio senza patologia

Manicomio di Girifalco, anni 40, del '900
Manicomio di Girifalco, anni 40, del '900

L’EDITORIALE – La storia di Pino Astuto chiuso in manicomio senza patologia, è stata raccontata nel corso della puntata dell’8 Aprile nella trasmissione “ItaliaSì” su Rai Uno. Durante l’intervista con Marco Liorni, Pino ha descritto la sua vita all’interno dell’ospedale psichiatrico di Girifalco, dove è stato internato da bambino senza alcun disturbo mentale, ma solo perché era stato abbandonato dai suoi genitori.

Secondo i documenti dell’ospedale, Pino era stato accolto “per ragioni umanitarie”, in quanto era considerato “un bambino indifeso e privo di sostegno familiare”. Tuttavia, la sua permanenza nell’ospedale si è trasformata in un vero e proprio inferno, segnato dall’isolamento, dalla violenza e dalla privazione dei diritti fondamentali.

Pino ha trascorso 32 anni nell’ospedale di Girifalco, diventando uno dei pazienti più longevi dell’istituto. Durante la sua permanenza, ha subito violenze, che lo hanno costretto a vivere in condizioni disumane e degradanti.

Solo dopo molti anni di lotta, Pino è riuscito ad uscire dall’ospedale e a ricostruire la sua vita. La sua storia, seppur estrema, rappresenta un monito sulle conseguenze drammatiche della discriminazione e della stigmatizzazione delle persone con disturbi mentali, e sulla necessità di un’assistenza psichiatrica più umana e rispettosa dei diritti dei pazienti.

La storia di Pino Astuto è un triste esempio della disumanizzazione e dell’ingiustizia che spesso affliggono le istituzioni psichiatriche. La sua vicenda, che ha visto un bambino sano e normale essere internato in un manicomio per ben più di trent’anni, dovrebbe spingere tutti noi a riflettere sulla necessità di un sistema sanitario e sociale più umano e attento ai diritti fondamentali delle persone.

Il caso di Pino Astuto, seppur estremo, non è isolato. Nel corso della storia, molte persone sono state internate in manicomio ingiustamente, senza alcuna patologia mentale ma per motivi di convenienza o per l’incapacità del sistema di fornire loro l’aiuto di cui avevano bisogno. In molti casi, gli internati sono stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, che hanno lasciato cicatrici profonde e permanenti nella loro vita.

La storia di Pino Astuto, purtroppo, ci ricorda che la lotta per i diritti dei pazienti non è mai finita. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte per costruire un mondo più giusto, umano e rispettoso della dignità di ogni individuo.

Grazie agli attivisti le cose sono cambiate

Oggi, grazie alla lotta di attivisti e organizzazioni per i diritti dei pazienti, molte cose sono cambiate. Gli ospedali psichiatrici sono stati chiusi o ristrutturati, e la maggior parte delle persone con problemi di salute mentale riceve ora cure ambulatoriali o in strutture meno invasive e più rispettose dei loro diritti. Tuttavia, il lavoro da fare è ancora molto, soprattutto nel garantire che tutte le persone che necessitano di cure psichiatriche possano accedervi facilmente e senza pregiudizi.

Il “Manicomio di Girifalco”

L’ospedale psichiatrico di Girifalco, noto anche come “Manicomio di Girifalco”, è stato uno degli istituti psichiatrici più grandi e controversi d’Italia. Costruito alla fine dell’Ottocento in Calabria, l’ospedale ha visto il passaggio di migliaia di pazienti, molti dei quali internati per decenni.

Come molte altre strutture psichiatriche dell’epoca, il manicomio di Girifalco era noto per le condizioni precarie in cui erano tenuti i pazienti, costretti a vivere in ambienti sovraffollati e privi di qualsiasi conforto. Nel corso degli anni, numerosi rapporti e denunce hanno evidenziato gli abusi e le violazioni dei diritti dei pazienti all’interno dell’ospedale, che spesso subivano terapie invasive e umilianti, come la somministrazione di elettroshock o la costrizione in camicia di forza.

Il manicomio di Girifalco è stato chiuso nel 1998, dopo che le condizioni di detenzione dei pazienti erano state denunciate da diverse organizzazioni per i diritti umani. Attualmente, l’edificio è in parte abbandonato e in parte utilizzato come struttura ospedaliera generale. La storia di questo ospedale, però, resta un monito sulle conseguenze dell’isolamento e della stigmatizzazione delle persone con disturbi mentali e sulla necessità di un’assistenza psichiatrica più umana ed efficace.

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