Quante volte abbiamo usato l’espressione “Questa cosa è una ciofeca!” riferendoci a qualcosa il cui sapore è disgustoso? Eppure, nonostante il termine abbia una connotazione negativa andando a scoprire le sue origini capiamo che ha una sua storia nobile e dignitosa, legata a un vero e proprio rito.
La sua nascita riporta tradizionalmente a Napoli, ma secondo un esperto di casa nostra la ciofeca è invece addirittura nata in Calabria, moltissimi secoli fa.
Sebbene il grande Totò abbia usato questo termine consegnandoci un’icona cinematografica, la famosa ciofeca ha radici ancora più lontane, collocabili fino agli antichi greci o agli arabi; il che potrebbe essere credibile vista la storia del meridione italiano ricca di invasioni da parte di vari popoli che hanno portato la loro cultura anche nel campo gastronomico.
Il termine greco “kofos” farebbe pensare a una bevanda non molto saporita che oggi potrebbe essere ricondotto a un caffè di dubbia qualità.
L’altro termine, di origine araba, potrebbe essere “sciafèk” che farebbe pensare a un alimento non buono, anzi dal sapore pessimo.
La storia della ciofeca raccontata da Andrea Strafile e da Carmine Lupia
Una ricerca interessante è stata fatta dal giornalista enogastronomico Andrea Strafile che studiando la storia di questa bevanda è approdato in Calabria dove vive Carmine Lupia.
L’ex direttore della Riserva “Valli Cupe” di Sersale e ideatore del Cammino Basiliano ha raccontato al giornalista la storia di questa bevanda che sarebbe la vera antenata del caffè.
Carmine Lupia è un esperto botanico che ha iniziato a studiare la ciofeca e le sue origini ben 30 anni fa e ancora oggi continua a trovare documenti che testimoniano la sua origine antica.
– Una bevanda ricavata dalle ghiande calabresi
Secondo Lupia “La ciofeca è un infuso scuro che veniva fatto dalle ghiande tostate e polverizzate, proprio come si farebbe un caffè. E non è vero che l’etimologia è incerta. Viene dalla parola araba antica ‘safek’, che significa bevanda poco energica. Non tutti sanno che gli arabi in Calabria, nell’alto Medioevo, non ci sono solo passati: ci sono rimasti per quasi un secolo. In un documento ho trovato che Catanzaro aveva tanti minareti quanti campanili.”
Leggendo la testimonianza di Lupia scopriamo che la ciofeca aveva anche i suoi riti e finanche vari sapori.
Lupia infatti attraverso Strafile afferma: “Fino almeno al 1900, le ghiande erano ingredienti molto commerciati: ci si facevano un sacco di cose, come la farina, per esempio. Quindi ce n’erano molte di più e di diverse varietà. Oggi si usano praticamente solo come mangime per i maiali. Si usavano le ghiande di sughero, oppure quelle del leccio o quelle di roverella e alcune altre ancora, ognuna con una sua sfumatura.”
Secondo i documenti trovati da Lupia ci sono tracce della ciofeca non solo in Calabria, ma anche in Puglia, Basilicata e Sicilia e addirittura anche nella zona di Varese e in Emilia Romagna.
La cosa strana è che sono stati trovati pochi documenti proprio in Campania.
Carmine Lupia asserisce che: “La ciofeca era diffusa al sud perché, ovviamente, c’erano più querce, che non sopravvivono bene ai climi freddi. Ma bisogna capire che era una bevanda da tutti i giorni, esattamente come il caffè e lo è da almeno il 1300. Il caffè come bevanda principale si diffonde in Italia solo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Non è che prima non ci fosse, ma era o costoso o non ha attecchito bene a cavallo delle due guerre.”
La ciofeca è ancora più antica del caffè
A quanto pare la leggenda della ciofeca sia ancora più datata rispetto a quella del caffè.
Riferendoci alla nascita del caffè, c’è una leggenda che racconta di un pastore etiope le cui pecore dopo avere mangiato delle bacche rosse (presumibilmente di caffè) andarono “su di giri“. Il pastore scoprì quindi le qualità di questi frutti provandole poi personalmente.
La leggenda della ciofeca fatta con le ghiande pare si collochi anteriormente a quella del caffè e racconta di un pastore calabrese, precisamente un porcaro, che vide i suoi maiali mangiare delle ghiande bruciate e da lì nacque l’ispirazione a usarle.
Lupia racconta: “Le ghiande venivano tostate con una specie di torchio, l’atturraturu, quindi polverizzate e poi si usava la cicculatera, una proto-moka che funzionava per infusione. Il sapore che ne veniva fuori era a metà tra orzo e caffè ed era una bevanda anche salutare, ricca di polifenoli. Il colore era invece praticamente identico a quello di un caffè.”
Oggi è veramente difficile trovare chi consuma la ciofeca a casa. È una bevanda molto rara poiché il caffè ha preso il suo posto durante i secoli trascorsi.
Anche se l’Italia, Napoli in particolare, è considerata la Patria del caffè è sempre bene ricordare le nostre origini e tradizioni.
In ogni caso, anche se oggi usiamo impropriamente il termine “ciofeca” occorre ricordare che anticamente lo stesso caffè non era facile da reperire e che gli infusi tradizionali avevano una loro dignità risultando anche gustosi.
Esattamente come la ciofeca!
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