Molti italiani non conoscono questo tipo di pasta, e neanche tanti calabresi hanno provato questa esclusiva lavorazione.
La struncatura nasce a Gioia Tauro, nel 1700, dalla lavorazione degli scarti della molitura.
Si racconta che venissero spazzati gli scarti dal pavimento per poi produrre un impasto colloso e bruno, spesso dato agli animali.
In quel periodo, vista anche la felice posizione del porto di Gioia Tauro, di questo prodotto furono entusiasti gli amalfitani, soprattutto le classi meno abbienti. Era sostanzialmente un prodotto di recupero.
Verso la fine dell’Ottocento venne però vietata per via della mancanza di controllo di igiene, ma veniva comunque venduta di contrabbando.
Attualmente la struncature si trova in commercio senza i problemi di una volta, ovviamente. È prodotta artigianalmente da pochi pastifici e il suo impasto è ottenuto da una miscela di farine integrali. Simile alle linguine e grazie alla suo essere ruvida trattiene bene i sughi.
Questa è una mia ricetta ed è la classica un po’ rivisitata.
Cucinare la struncatura in acqua non salata.
In una padella, unire un filo d’olio, uno spicchio d’aglio senza anima e un peperoncino piccante.
Aggiungere qualche pomodorino, delle olive nere e, volendo, un po’ di ‘nduja.
Sciogliere delle acciughe in modo da formare una cremina.
Buttare la pasta in padella e mantecare.
Aggiungere della mollica tostata, il pecorino, il prezzemolo e servire caldo.
Buon appetito!
Annamaria Gnisci