Il cortometraggio firmato da Gabriele Muccino, e fortemente voluto da Jole Santelli, sbarca anche sui social. Le reazioni dei calabresi alla visione di “Calabria, terra mia” non sono mancate: c’è chi apprezza la vena romantica (e d’altronde dal regista dell’amore questo aspetto poteva mancare?), ma c’è chi critica fortemente non solo il costo eccessivo (un milione e settecento euro, per la precisione), ma anche il messaggio errato che vede la Calabria tutta “mare e mandarini” e che di conseguenza rimanda all’immagine stereotipata di una terra meridionale senza identità propria.
Tralasciando volutamente l’aspetto tecnico e le scelte di regia che possono soggettivamente piacere o meno, la questione da sottolineare è l’altrettanto oggettiva alterazione di contenuti. Questo elemento è troppo importante per essere omesso. Qualsiasi forma artistica ha implicita la comunicazione, verbale o non verbale. Questo non lo dico io, ma ci sono studi importanti a riguardo, non è una novità.
La punteggiatura è importante
Muccino sicuramente sa che il primo assioma della comunicazione dice che non si può non comunicare; il secondo dice che il primo livello è quello del contenuto, e dice “cosa” stai comunicando.
Eppure, la Calabria ha e avrebbe molto da far conoscere al mondo intero. Sempre che non ci si rivolga a un turista un po’ rozzo e superficiale al quale interessa solo fare i bagni a Tropea e mangiare clementine, buttando le bucce per terra (sic).
Un’occasione persa per far conoscere la Calabria
Quindi, in primo luogo: qual è il target dello spot? Sinceramente, mi rifiuto di credere che tantissimi turisti siano insensibili di fronte alle opere di Mattia Preti, di Mimmo Rotella o di Nik Spatari. Non credo che ci possano essere turisti così ignoranti da non apprezzare i Giganti della Sila – luogo FAI – oppure la particolarità della storia del Grande Albergo delle Fate.
C’è un lungo elenco di luoghi che andrebbero sponsorizzati, anzi quasi urlati a chi la Calabria non l’ha mai visitata. Ma non solo quelli. Ci sono le tradizioni millenarie, c’è la storia della Magna Græcia che da sola sarebbe sufficiente a riempire centinaia di spot, ci sono gli scavi archeologici e anche una gastronomia con prodotti unici impossibile da trovare altrove: uno fra tutti la marandella, chiamato non a caso anche il frutto del paradiso. Possibile che alle porte del 2021 ci ritroviamo a parlare di bergamotti e di ciucci nei vicoli di paesi fermi agli anni 50?
Allora viene da chiedersi: Muccino, che è un professionista e ha all’attivo tanti lungometraggi di successo, cosa ha realmente conosciuto della Calabria? Veramente la Calabria la vede così stereotipata e senza anima? Sì, perché sebbene si possano riconoscere alcuni luoghi famosi (Tropea in primis! Guarda un po’…) in realtà se non si pronunciasse il nome “Calabria” le scene potrebbero richiamare benissimo paesi della Sicilia, della Campania o della Puglia e finanche della Grecia!
Mi spiace per chi vedrà lo spot, ma la Calabria non è quella da descritta tra soppressate, fichi e spiagge seppur bellissime. La Calabria è molto di più. Sarebbe stata un’ottima occasione per fa conoscere luoghi, storie, tradizioni e arte – in una parola: la vera cultura – che purtroppo non esce al di fuori dei confini geografici.
E qui c’è anche una responsabilità politica da parte di chi la Calabria dovrebbe conoscerla meglio e invece autorizza a descrivere una terra con i soliti luoghi comuni.
Ipso facto
Sarebbe da chiedere quali fossero le intenzioni per la realizzazione di questo cortometraggio così povero di contenuti e di informazioni, per fortuna ricco di colori caldi, che però ruota attorno a una storia d’amore degna di una telenovela sudamericana. Infatti, anche i dialoghi aggiungono poco; un’altra occasione persa, purtroppo.
Una curiosità: il congiuntivo sbagliato da Raul Bova è stato voluto o vuole dire qualcosa di preciso e che sfugge?
Non voglio fare una critica sterile, ma vorrei che fosse l’occasione per rivedere i valori persi, per far emergere l’orgoglio al calabrese stanco di assistere alla solita realtà; è l’opportunità di dare un volto nuovo a questa benedetta terra da secoli abituata a essere oggetto di invasioni di vario tipo, anche culturali. Potrebbe essere anche un’occasione per gli intellettuali calabresi per rispondere con un contro canto.
Della Calabria hanno scritto autori famosi anche stranieri. Occorre leggere i libri di George Gissing o di Edward Lear. Perché la Calabria è anche patria di autori, artisti e imprenditori propri e anche di filosofi: c’è una lista lunghissima che va da Pitagora a Versace, da Renato Dulbecco a Tommaso Campanella, da Gianni Amelio a Saverio Barillari.
“La dignità è al sommo di tutti i pensieri ed è il lato positivo dei calabresi.” Ed è anche questa una frase illuminante di un illustre calabrese: Corrado Alvaro.
Occorre uscire fuori dagli schemi. Gli anglosassoni dicono “think outside the box”. Si chiuda la “scatola” dei ricordi, quindi. Il 1950 appartiene a un altro secolo e siamo già al futuro.
Il link di YouTube di Calabria Terra mia.
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