Dopo il grandissimo successo di “Questo piccolo grande amore“, registrato negli studi della RCA italiana, a fine settembre del 1972, i discografici richiedono a Claudio Baglioni un altro album di inediti in modo “da battere il ferro finché caldo“.
Il 1973 è quasi alle porte. Finalmente dopo tanti insuccessi e cocenti delusioni, la gente riconosce in quel giovane cantautore romano, che ha poco più di 21 anni, il suo stile e il suo talento. Il pubblico lo acclama, le ragazzine lo sognano. Claudio Baglioni diventa dall’oggi al domani un divo pari ai suoi colleghi più famosi presenti ai Cantagiro e alle Canzonissima.
Sembra strano raccontarla così visto che stiamo parlando di un artista che come pochissimi è riuscito ad attraversare decenni. Grazie alla sua trasversalità, riesce ancora oggi a parlare a una platea che va dai giovanissimi ai più adulti.
Volente o dolente, soprattutto per i suoi detrattori, Claudio Baglioni è già storia.
L’Italia degli anni 70, finisce un sogno
Ma facciamo un passo indietro. Torniamo a 50 anni fa.
Durante gli anni 70, il Belpaese viveva un momento drammatico sia da un punto di vista politico che sociale. Era il periodo della nascita del terrorismo, delle stragi firmate, poi è seguita l’austerity. La droga girava facilmente tra i giovani. La musica, come la televisione, restava una valvola per tanti, non solo per gli italiani. Sognare, liberarsi di fardelli quotidiani, era una necessità e la musica forniva gli strumenti. Poco tempo prima c’era stato Woodstock che trascinava con sé l’affermazione dei diritti civili e anche della libertà sessuale. Gli studenti scendevano in piazza e occupavano i licei e le università. Si affermavano partiti come quelli di Marco Pannella, decisamente anticonformisti per quei tempi.
Ma erano per lo più ideali di una libertà sognata perché poi la vita vera, quella dell’impiegato e dei ragazzi o della casalinga di Voghera e di Palermo, imponeva altre leggi, altri riti, altro che libertà. Le donne venivano violentate e non era un reato contro la persona, anzi magari erano pure costrette a sposarsi con l’aguzzino; non esisteva il divorzio nonostante famiglie sfasciate, l’aborto era clandestino. Scegliere era un miraggio per tanti. Eppure erano anni di fermento sociale per un popolo che viveva un contesto complesso e complicato.
Claudio Baglioni: «Schiacciati dalle tematiche dell’amore giovanile e del sogno adolescenziale»
Claudio Baglioni ha vissuto, da adolescente e da giovanissimo, sia la contestazione sia la connotazione politica di una sinistra contrapposta alla destra. Condizioni sociali e politiche vissute soprattutto in periferia, la periferia romana tra il Prenestino e il Casilino, per la precisione. Quella periferia che raccontava Pasolini e che sognava la Fiat 600 e le vacanze ad agosto.
Baglioni, proveniente da una famiglia semplice di origine umbra – padre maresciallo dei Carabinieri e madre sarta – le sue idee politiche e sociali le aveva espresse anche nelle sue canzoni, persino adolescenziali.
Ma la RCA nel 1972 non era d’accordo a mettere sul mercato un altro cantautore politico. D’altronde, lui non faceva neanche parte del Folkstudio romano, fucina dei cantautori “più impegnati“.
“Questo piccolo grande amore” però all’inizio lui lo aveva immaginato come un album doppio anche per raccontare gli ideali dei ragazzi come lui, ma quell’aspetto nel 1972 fu tagliato e in seguito addirittura censurato.
La sua fama doveva essere legata ai sentimenti. L’amore era quello più logico da proporre. Sì, ma a quale costo?
Probabilmente c’era molto poco da discutere. Forse Baglioni immaginava di poter scrivere più liberamente in seguito o forse no. Nella sua mente, “Questo piccolo grande amore” sarebbe stato l’ultimo suo album, l’ennesimo insuccesso per chiudere definitivamente la carriera di musicista e riprendere gli studi di architettura. Ma non andò così, come sappiamo: “Questo piccolo grande amore” a cavallo tra il 1972 e il 1973 fu un successo inaspettato ed enorme.
Ma dopo le regole del mercato lo attendevano; infondo, a quel punto, lui non era più un esordiente.
Infatti, per incomprensioni, l’artista sbatterà la porta della RCA con tanto clamore dopo soli 4 anni da quel maggio del 1973, esattamente dopo “Solo“. Ma questo è decisamente un altro capitolo della sua storia.
Claudio Baglioni: «Non potrei mai essere la stessa persona nemmeno vivessi in frigorifero»
Ecco che nel 1973 alla richiesta di un nuovo disco che potesse emulare il precedente successo la soluzione più logica parve proprio quella di riproporre il format fortunato della sorella maggiore. Quindi gli ingredienti erano un’altra volta: i ragazzi, l’amore complicato, lo stile di vita un po’ hippie. Ovviamente, si preferì ripetere il contenitore del concept album, un disco per raccontare una storia dall’inizio alla fine, un taglio cinematografico; esattamente come “Questo piccolo grande amore”, né più né meno.
Sono solo pochi mesi dall’exploit di “Questo piccolo grande amore”
Così, nel maggio 1973 usciva il 33 “Gira che ti rigira amore bello” (quarto album della sua discografia da studio) e il 45 giri, come di rito. Il formato più piccolo aveva come lato A “Amore bello” e come lato B “W l’Inghilterra“.
Claudio Baglioni: «Il disco fu fatto in pochissimi giorni»
Diciamolo subito, a favore dei detrattori. Il disco non andò come sperato. Forse si lavorò in poco tempo, forse ci fu la maledizione di sequel che non riescono mai come il primo lavoro, ma il risultato al momento non fu entusiasmante.
Il disco all’inizio non ebbe quindi lo stesso successo di “Questo piccolo grande amore”. All’epoca, raggiunse solo la quarta posizione nella classifica settimanale e in quella annuale del 1973 si piazzò solo al 14esimo posto.
Ma basterebbe scorrere gli 11 titoli dell’album per capire che il successo baciò “Gira che ti rigira amore bello” negli anni a seguire. Insomma, un lavoro lento ma efficace riportando il tutto ai giorni nostri.
“W l’Inghilterra”, “Io me ne andrei“, “Ragazza di campagna”, “Amore bello” sono già 4 titoli famosi, ancora oggi proposti durante i concerti che hanno rivissuto anche grazie ad arrangiamenti diversi; ma poi ci sono le chicche degli amatori come “Casa in costruzione” che per me resta un vero gioiellino: ha una sua freschezza ed è tuttora moderna.
Questa ultima canzone riprende la melodia di un’altra canzone a sfondo sociale che appartiene a un album del 1971 – “Un cantastorie dei giorni nostri” – e che porta il titolo di “Cincinnato“.
Non era insolito per quei tempi: spesso Baglioni ha utilizzato melodie e refrain di altre sue canzoni precedenti e anche in “Gira che ti rigira amore bello” ha utilizzato questa tecnica. Infatti, la ironica e giocosa “Miramare” è la melodia di “Kalambala” e di “Caro padrone” che rappresentano l’embrione della canzone “Questo piccolo grande amore”; tant’è che “Caro padrone” è stato il primo 45 giri messo sul mercato nel 1972 e poi ritirato per via dei tagli di censura dell’album, sostituito proprio dalla canzone d’amore del secolo.
Non è un caso quindi che alcune note di “Questo piccolo grande amore” sono riproposte come sfondo a una canzone del nuovo album del 1973 dal titolo “Ed apri quella porta“.
Ripetere un successo sulle orme del precedente
Anche la squadra non è cambiata. Il produttore è il compianto Antonio Coggio, che è anche co-autore delle musiche, e anche i musicisti sono gli stessi che parteciparono a “Questo piccolo grande amore”.
I nomi sono abbastanza noti a chi conosce la storia dell’artista: Massimo Buzzi, alla batteria, Luciano Ciccaglioni, alle chitarre insieme all’amico Pompeo de Angelis, Franco Finetti come ingegnere del suono, Tony Mimms come arrangiatore e il grande Toto Torquati alle tastiere.
Fu talmente frenetica l’uscita del disco che la casa discografica fece uscire in tutta fretta un migliaio di vinili con una copertina tutta bianca, oggi abbastanza rari tra i collezionisti. Solo successivamente fu stampata una copertina apribile fatta come un collage con foto che ritraggono Roma e un inserto dei testi.
La recensione di Rockol del 3 maggio 2023
Tra i detrattori, c’è Ivano Rebustini che per la celebre rivista musicale Rockol ha recentemente recensito “Gira che ti rigira amore bello”, proprio per via dei 50esimo compleanno del disco. Della copertina scrive: «La copertina turistico-agreste di “Gira che ti rigira amore bello” ce lo mostra incastrato nel tettuccio apribile di “Camilla”, la celeberrima 2Cv gialla che finirà con l’essere la figura femminile – ehm… – più citata. Sono cinque le canzoni che parlano di lei; “non è che pisti” (in un quasi erotico crescendo la prendiamo a settanta e la lasciamo a cento), però Simona, non uno scooter ma una signorina in carne e ossa, è distanziatissima: le spettano solamente un paio di citazioni, e per giunta molto meno affettuose.»
Forse Rebustini ignora (e secondo me no) che la copertina è opera di uno dei più grandi artisti che è Francesco Logoluso che ha firmato tutte le più belle copertine dei dischi.
Al di là di questo scivolone, al critico musicale sopra citato, occorre dire che il collage non è stata una scelta casuale. Infatti, riporta anche la struttura dell’album che è un collage di canzoni che, seppur autonome, sono capaci di vivere vita autonoma. Tra flashback e inserti vari, insieme raccontano la vita di una ragazzo ventenne che nella sua irrequietezza sceglie di scappare via di casa (e qui ritorna anche “Cincinnato”), lasciando anche la fidanzata citata “Simona”.
Claudio Baglioni: «Andavo spesso al cinema poi mi sono sentito saturo»
Nel viaggio, incontrerà persone diverse. Dall’inglesina per nulla libera di costumi, come da immaginario collettivo, di “Via l’Inghilterra; alla breve esperienza di convivenza nella più accorata “Io me ne andrei”; all’addio di “Amore bello” ispirato ai versi di Jacques Prevert. Dopo questa breve parentesi “liberatoria” della sua vita, il protagonista scriverà una semplice lettera esprimendo il desiderio di ritornare a casa e anche dalla fidanzata, ma un terribile incidente automobilistico metterà fine alla sua vita.
Un disco che ricalca l’effetto cinematografico dell’album precedente.
Questa è in sintesi la storia di “Gira che ti rigira amore bello”, un’occasione per proporre non solo delle canzoni, ma soprattutto uno spaccato di vita di allora. Basti pensare che oggi il protagonista non avrebbe scritto una lettera, ma un messaggio via Whatsapp o Facebook. Riguardo questi riferimenti ormai desueti ci sarebbe da scrivere molto: dai gettoni delle cabine telefoniche, alla Lampada Osram della Stazione Termini, alla mitica Lambretta. Anche le canzoni raccolgono ricordi di un periodo che non c’è più.
Camilla divenne inaspettatamente il trait d’union principale
Sebbene l’intenzione iniziale fosse raccontare una storia d’amore, l’eterea Simona ha realmente un ruolo marginale perché la vera protagonista della storia, anche d’amore – seppur virtuale -, è proprio la Camilla: una Citroen due cavalli gialla e nera che Baglioni acquistò usata a febbraio 1972. Infondo, “Simona è dolce, ma non è tutto“, dice in “70, 80, 90, 100”.
Sul ruolo delle donne nelle canzoni di Baglioni ci sarebbe da scrivere molto, ma andrei veramente fuori tema tanto è vasto l’argomento.
Concentrandoci invece sull’album del 1973, Baglioni ha spesso raccontato di questa sua prima auto umanizzandola. Camilla non era solo un mezzo meccanico per spostarsi, ma era il luogo dove rifugiarsi fisicamente e psicologicamente; era l’auto per andare a prendere e riportare la giovanissima fidanzata (vera) Paola Massari che viveva a Monteverde, a Roma, e in quel tragitto che durava anche un’ora nascevano canzoni, idee, progetti.
Paola Massari è stata testimone della nascita di tante canzoni oggi storiche. Una figura così importante che Claudio Baglioni sposò in gran segreto il 4 agosto 1973.
«Era un periodo della mia vita che si chiudeva»
Possiamo tranquillamente dire che il 1973 è stato l’anno della transizione e quindi l’album di “Gira che ti rigira amore bello” la rappresenta a pieno. Infatti, l’anno successivo, nel 1974 uscirà “E tu…” che vedrà un Baglioni artisticamente più maturo, nonostante avesse solo 23 anni.
Ivano Rebustini stronca miseramente anche l’album da un punto di vista musicale.
Nonostante il poco tempo a disposizione per confezionare “Gira che ti rigira amore bello”, l’album risulta abbastanza differente dal precedente, ma in positivo.
In “70, 80, 90 e 100” e in “Miramare” si sperimenta per la prima volta il suono prog, molto in voga in quegli anni, che verrà ampiamente usato nei grandiosi arrangiamenti di Vangelis in “E tu…” del 1974.
“70, 80, 90, 100” è praticamente la prima canzone di apertura di “Gira che ti rigira amore bello”, se togliamo l’incipit-playback misterioso. Già in questa canzone si capisce che la protagonista femminile è proprio Camilla che trasporta fisicamente e ideologicamente il protagonista on the road.
Rockol: «Ridondante e pesante»
Più che altro, musicalmente parlando, resta molto poco dell’aspetto corale sperimentato in “Questo piccolo grande amore” con “Porta Portese” o “Che begli amici“.
In “Gira che ti rigira amore bello” a farla da padrone è l’orchestra diretta da Tony Mimms che sempre secondo Rockol è “ridondante e pesante” attribuendo a “Ragazza di campagna” un «dove il tempo delle mele ingenuo e sognatore di “Questo piccolo grande amore” lascia il posto al più prosaico buco della serratura di Alvaro “Pierino” Vitali.»
Ora, per carità, ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni, ma associare una canzone dove prevale l’ingenuità e la genuinità ai film pseudo erotici di Alvaro Vitali e confondere Baglioni ai personaggi di quel tipo di film mi pare eccessivo.
Non trovo la superficialità che è il primo elemento di quel genere di cinematografia, mi si perdoni il termine di “sottocultura“; “Ragazza di campagna” è un bellissimo ritratto di tante ragazze dell’epoca che Baglioni ha realmente conosciuto nelle campagne umbre. Si ricordi “Isolina” alla quale “Ragazza di campagna” può essere tranquillamente associata.
Claudio Baglioni, o si ama o si detesta
Io non credo che Ivano Rebustini ignori questo parallelo visto che cita anche “Lacrime di marzo“, contenuta nello stesso album di “Isolina”. Trovo che i contenuti nella recensione siano provocatoriamente costruiti. Ma che pro?
È vero ciò che dice: Claudio Baglioni o si ama o si detesta. Tra le due fazioni c’è però una costante che è presente da tempo: una profonda ignoranza della sua discografia e dei contenuti. Questa enorme lacuna favorisce la speculazione di chi cerca di sminuire il suo valore artistico. Negli anni abbiamo assistito a vere e proprie demolizioni a opera di trasmissioni televisive che hanno creato delle fake news ad hoc.
Per quanto riguarda Rebustini, affermare che “Gira che ti rigira amore bello” sia solo una «cover apribile e riccamente istoriata, grande quasi come una tovaglia da picnic; inserti parlati, qualche trovatina strumentale e un paio di struggenti melodie» mi pare volutamente riduttivo. No, perché – se fosse realmente così – le canzoni che hanno attraversato mezzo secolo non avrebbero potuto sicuramente farlo.
È un album forse ancora più elegante nelle soluzioni tecniche, più raffinato. Lo afferma lo stesso Baglioni convenendo invece che per realizzare l’album ci fu molta freddezza e meno tempo rispetto al precedente album più fortunato.
Un album che segna una svolta, la metamorfosi
L’album del 1973 è veramente un punto di svolta, non propriamente di rottura con il passato, ma di metamorfosi. Non capire questo è abbastanza grave. È stato un lavoro di preparazione al disco del 1974, una parentesi necessaria per riprendere fiato e per studiare.
Nella realtà, Camilla morirà veramente bruciata come nel disco. Baglioni sente che è finita un’epoca: quella dell’adolescenza. La sua auto così simbolicamente forte non ha più ragione di esistere. Il rogo di Camilla avverrà annunciato a mezzo stampa e avrà luogo in Umbria. A testimoniare la fine di Camilla ci sono delle foto e anche e dei video, alcuni recuperati da Michele Bovi negli anni 90 altri purtroppo decisamente persi negli anni 70.
Infatti, nel 1973 con Pompeo de Angelis, si farà un video clip di “Gira che ti rigira amore bello” (alcuni dicono che sia anche il primo video clip italiano, tra l’altro) in cui Camilla è sempre presente. Esiste anche una VHS dell’epoca di 180 minuti che dovrebbe essere il film completo, ma si tratta di bootleg che è girato tra i collezionisti.
Claudio Baglioni: «La macchina che scompariva davanti ai miei occhi in un unico falò coincise con il mio cambiamento»
Il viaggio on the road di “Gira che ti rigira amore bello” termina appunto con l’incendio dell’auto. “Camilla brucia, non c’è più tempo“. Come in un film si ripercorrono scene già vissute raccontate nelle canzoni dell’album. Riappare l’inglesina, la ragazza di campagna, la convivente, la ragazza di Miramare e il suo strano cappello. Tutto ruota intorno ed è incomprensibile fino a quando il protagonista si ritrova bambino in cerca della mamma.
Solo alla fine del disco si capisce che il racconto dell’avventura, della fuga, è all’incontrario. Il protagonista è già morto quando inizia la storia. L’intero disco è un flashback.
In una intervista cult del 1977 a Michelangelo Romano “Il romanzo di un cantante“, per la Lato Side, Baglioni spiega così la scelta di incendiala: «Mi ritrovai a non sopportarla più, a non reggere più la sua umanità tanto che, con un gesto abbastanza cretino, decisi di liberarmene e la incendiai. Questa cosa fu sfruttata a livello pubblicitario, ma io l’avrei incendiata comunque (…) La macchina che scompariva davanti ai miei occhi in un unico falò coincise con il mio cambiamento.»
Se per il popolo che ama il rock Baglioni non è da contemplare, c’è però un fatto abbastanza curioso che riguarda Guido Tognetti, oggi direttore artistico di Claudio Baglioni.
Nella prefazione del libro “Discografia illustrata” di Manlio Fierro, Raffaele Pirretto e Melisanda Massei Autunnali, lo stesso Guido Tognetti, noto estimatore dei Doors, racconta di aver conosciuto e apprezzato Baglioni, di cui oggi è direttore artistico, proprio grazie a “Gira che ti rigira amore bello”.
Guido Tognetti, un rocker folgorato da “Gira che ti rigira amore bello”
Tognetti descrive così il primo incontro con la musica di Claudio Baglioni: «Dimenticando la mia ideologia puramente rock, misi il disco sul piatto (“Gira che ti rigira amore bello” ndr) e lasciai scorrere la puntina, brano dopo brano, ascoltandolo interamente più volte. (…) Scoprii un artista completo, un musicista, un poeta delle parole con veste cinematografica. Scriveva esattamente con una complessa semplicità».
Ecco, forse “complessa semplicità” credo che possa essere l’attributo per spiegare il Baglioni degli anni 70.
Probabilmente una canzone come “Poster” (1975) potrebbe essere rappresentativa nella sintesi: semplice, complessa, fortemente descrittiva, dal contenuto importante. Questo era il Baglioni anni 70 e che nel suo percorso umano e artistico in ascesa ritroveremo nella bellezza dei testi e nella sperimentazione musicale degli anni 80 e poi ancora nel capolavoro di “Oltre“.
«Ho sempre vissuto tra immagine e parola, è stato sempre questo il mio tentativo, la mia ricerca. (…) Il mio è un bisogno di immagine attraverso la parola. (…) I testi richiedono disciplina, una ricerca ossessiva, una dose non indifferente di pignoleria nel limare persino i punti e le virgole.»
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