Parafrasando Claudio Baglioni stesso e una sua nota canzone legata all’album italiano più venduto di tutti i tempi, la domanda non è casuale: è un disco nuovo o un nuovo disco?
Sì, perché la nuova creatura in casa Sony contiene un vocabolo magico e che fa da trait d’union per 80 minuti di musica. La parola è “storia”, in tutte le sue sfumature.
Ho ascoltato questo disco una sola volta e riporto volutamente le prime impressioni, a caldo, rischiando di essere fraintesa.
“In questa storia (che è la mia)” è sicuramente il nuovo lavoro di Claudio Baglioni, ma più legato al passato rispetto ai fratelli concepiti negli anni precedenti e che hanno salutato il famoso “vento del 2000”.
Il paragone sorge spontaneo
È difficile parlare e definire il lavoro di un artista – a tratti iconico – evitando di banalizzare intere pagine di storia della musica leggera italiana e ridimensionandolo su un tassello di un enorme mosaico. Il rischio è di fare sempre un confronto tra i soliti capolavori – come potrebbe essere l’imponente lavoro di “Oltre” – e le produzioni precedenti e successive agli anni 90. Le ultime, quelle del 2000, per la verità hanno un po’ ridimensionato la genialità di un artista che non si è mai fermato. O quantomeno sembra avessero posto in un angolo per qualche anno ‘A Clà dando spazio a produzioni più eteree nelle intenzioni di un artista che alla soglia dei 70 anni ora riprende la mira.
Il cant-attore Claudio Baglioni
Ma è Baglioni stesso che invece ci riporta a ciò che è stato. Lo dichiara apertamente in “Uomo di varie età”. Lo fa attraverso le autocitazioni inserite nel nuovo disco, riprendendo il tema dell’amore che lo ha visto spesso erroneamente collocato tra i “cantori dei buoni sentimenti”. Sapendo quanto gli sia costata questa etichetta, collocandolo nel non-impegno, forse questo è anche un disco da considerarsi “coraggioso”. Se togliessimo “In un mondo nuovo” in effetti mancano canzoni legate al sociale e al mondo esterno, sebbene l’assenza sia poi giustificata dall’intenzione del concept album che è incentrata sull’amore.
Ma non è l’amore stesso a essere rivoluzionario?
Il comune denominatore è la capacità narrativa mai banale anche nell’interpretazione
Probabilmente è più un disco per appassionati, fedelissimi ammiratori ed estimatori del cant-attore. Non sarei così sicura nell’affermare che un pubblico cosiddetto “normale” possa riconoscere le note di “Amori in Corso” o di “Via”, o del leit motiv dell’ultimo tour “Al Centro”, al primo ascolto. Ma non solo. C’è il richiamo fortissimo alla struttura di album come “Strada Facendo” e di “Io Sono Qui”. Anche nel nuovo disco sono stati inseriti dei tasselli acustici, molto intensi, che coronano e accompagnano le 14 nuove canzoni, di ben oltre 5 minuti ciascuna. Inedite sì, ma dal sapore decisamente tradizionale. Questo un po’ dimostra come la dimensione intimistica sia a lui più congeniale e in cui si muove in tutta naturalezza.
Nostalgia o autocitazione di una storia tutta sua
Non è corretto parlare di richiamo agli anni 70 come ho letto altrove. Secondo me, si ritrova un Baglioni più maturo e consapevole della sua arte, più definito. C’è il riferimento molto forte all’artista a cavallo tra gli anni 80 e 90, che poi è il periodo zenit della sua produzione. C’è, come sempre, il titolo “In questa storia” e un sottotitolo “che è la mia”.
Se volessimo fare una forzatura, ma non troppo, c’è il richiamo al sottotitolo di Strada Facendo che è “canzoni e una piccola storia che continua”. Forse una cosa che lo accomuna agli anni 70 è la costruzione.
È un album che ha un unico filo conduttore e non è la prima volta che questa struttura è stata adottata, lo era anche “Questo Piccolo grande amore” nel lontano 1972, ad esempio. Ma negli anni 70, Baglioni era in una forte fase di crescita sia umana che artistica in cui elaborava ciò che sarebbe diventato successivamente, precisamente dal 1981 in poi.
Sonorità diverse per un Claudio Baglioni storico
È un album nuovo se paragonato a “Sono Io” e “ConVoi”, o forse è più corretto dire che è diverso. Le sonorità sono diverse, forse per l’apporto di Celso Valli negli arrangiamenti. E qui si ritorna di nuovo al passato: Celso Valli è anche strettamente legato alla produzione anni 80. Si riconosce subito la magica mano di Danilo Rea al pianoforte e lo stile unico di Gavin Harrison alla batteria. Chi conosce bene la storia artistica di Claudio Baglioni sa quanto questi due nomi siano stati presenti proprio nel periodo zenit, sia in studio che nella dimensione live.
Insomma, ci sarebbe da dire “niente di nuovo” eppure il nuovo c’è. A parte la presenza di Giovanni Baglioni, c’è un Claudio Baglioni che è intenzionato a voltare pagina, abbandonando le sonorità del primo decennio del 2000, collocandosi nostalgico e in ascolto al Baglioni che è stato. “Come ti dirò” sembra l’ideale prosecuzione di “Fammi andar via”, ad esempio. Questo disco è come una finestra sul passato illuminato da una luce, una sorta di occhio di bue su un palcoscenico sul quale era calato un sipario di boccascena. Un drappo dorato, finemente decorato, che ha diviso attori e spettatori. La citazione ultima non è casuale.
È sicuramente un disco che accontenta una certa categoria di fan e che vuole far breccia anche in chi ricorda Baglioni per la sua produzione più nota e richiesta ai concerti.
Un lavoro sincero e di classe che non smentisce le aspettative
È un disco che non sconvolge, ma arriva la netta sensazione che vi sia stato un gran lavoro, una tessitura meticolosa e precisa (è una vera sorpresa conoscendo la puntigliosità del grande mago? Direi di no). È un disco che è l’altra faccia di “Oltre” e di “Viaggiatore” che invece hanno piacevolmente disorientato al primo ascolto, ma in compenso richiama, come già detto, “Io sono qui”.
Credo però che sia un lavoro che vada ascoltato a più riprese e a più livelli perché una cosa è certa: Baglioni non sa proprio fare qualcosa che possa definirsi brutto.
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Sito ufficiale Claudio Baglioni